La restauratrice Elisabetta Palmiero è divenuta, in un certo senso, la “custode di Sant’Oronzo”. Alle sue cure è stata infatti affidata la statua del santo patrono, una volta compiuta la discesa dalla colonna. Abbiamo avuto l’opportunità di contattarla in modo da sapere qualcosa in più sugli interventi di recupero volti a salvaguardare uno degli emblemi più amati della nostra città.
Dottoressa Palmiero, come procedono i lavori di recupero della statua di Sant’Oronzo?
Innanzitutto si è provveduto a rendere l’androne di via Rubichi a Palazzo Carafa, dove la statua è attualmente ospitata, un vero cantiere-laboratorio di restauro. In tale ottica è da intendere l’avvenuta istallazione, in accordo con i tecnici comunali, della struttura in policarbonato trasparente che rende visibile a cittadini e visitatori le operazioni di recupero del simulacro del santo. Tenevamo molto a tale iniziativa. Dopo tutto, il restauro della statua del patrono non poteva certo essere considerato un lavoro qualsiasi ma è giusto che diventi, per la città, anche un momento di incontro, di condivisione e di cultura. Per quanto riguarda invece gli specifici interventi che saranno attuati in questa fase iniziale, posso dire che ora si provvederà alla rimozione di alcune lamelle di rame in modo da avere una maggiore contezza dell’apparato ligneo interno. Sono state già svolte delle indagini endoscopiche, dunque sappiamo bene che la struttura versa in condizioni precarie. Tuttavia è bene compiere un esame più approfondito in modo da procedere con le azioni di consolidamento e, se necessario, di sostituzione di determinate parti. Si passerà poi anche alla ripulitura dell’abito esterno. Sui tempi non posso ancora esprimermi con precisione. In ogni caso, non sarò da sola a lavorare ma verrò affiancata da un’equipe di collaboratori.
Tanto si è discusso, in queste settimane, sul restauro compiuto negli anni ʼ80…
So che sono stati espressi dei giudizi molto severi in merito a quel restauro. Personalmente però sono propensa a valutare la cosa con equilibrio. Coloro che svolsero quei lavori non erano degli incompetenti o degli sprovveduti. Certo, agirono secondo le modalità e le procedure allora in voga. Modalità e procedure che oggi possono apparire inadeguate perché anche nel campo del recupero dei beni artistici, come un po’ in tutti i settori, ci si evolve. La scelta dei rivetti fu, senza dubbio, discutibile. Ma forse, ancor più che questo intervento, a portare la statua nelle condizioni critiche attuali è stato l’abbandono pluridecennale.
Ritiene sia possibile rivedere la statua sulla colonna nel prossimo futuro?
È una questione delicata. Ad esser sinceri, auspico una musealizzazione del simulacro, una volta che il restaurò sarà compiuto. Sarebbe una decisione di buon senso e che non deve impressionarci. In fondo, è un po’ il destino di tutte le opere in outdoor: se restassero esposte agli agenti atmosferici ed inquinanti avrebbero un’esistenza davvero limitata. Una scelta del genere però non spetta certo a me. Saranno l’amministrazione comunale e la Soprintendenza a decretare sulla futura collocazione della statua del patrono.