Nel sec. XVI, dopo la Controriforma, il costo delle medagliette devozionali divenne accessibile a molti e questo portò un notevole sviluppo della produzione artigianale delle stesse. Oltre ad essere indossate, iniziarono ad essere accorpate alle corone dei rosari determinando e fissando i rapporti tra pratiche devozionali, confraternite e santuari.
Nei secoli questi oggetti di culto e devozione hanno rappresentato un importante mezzo di diffusione della venerazione della Vergine, dei santi e delle reliquie, secondo precise direttive impartite dalle autorità ecclesiastiche dopo il Concilio di Trento. Sulle medagliette votive sono incise immagini cristologiche, mariane, giubilari e agiografiche, spaziando dai santuari ai luoghi di pellegrinaggio fino ai culti dei santi locali.
Le medagliette più diffuse sono a forma ovale ma troviamo esemplari di forma rotonda, rettangolare, a forma di cuore o di mandorla. Sono in metallo sia povero che prezioso e sono provviste di un piccolo anello che consentiva di inserire un laccetto per portarle appese al collo in segno di protezione. In origine sui bordi avevano tre appendici con fori che servivano per cucirla alle vesti o al copricapo.
A tal proposito, è stata segnalata la presenza, nella penisola iberica, di un esemplare del XVIII sec., molto particolare e interessante. Si tratta di una medaglietta votiva raffigurante da un verso Sant’Oronzo vescovo di Lecce, secondo la classica iconografia, e sul retro San Bruno di Colonia. Una medaglietta tanto rara quanto inusuale per il patrono di Lecce, in quanto si conoscono altri esemplari della stessa tipologia, materiale ed epoca, effigianti però il martire con Santa Irene.
San Bruno, patrono della Lituania e compatrono della Calabria, nacque a Colonia nel 1030. Nel 1091 con altri confratelli si recò nella provincia di Vibo Valentia, in un luogo chiamato foresta della Torre, dove fondò una piccola comunità monastica, poi divenuto Serra San Bruno, dove morì nel 1101. Le sue spoglie sono rimaste all’interno di una grotta dove si recava abitualmente. Il 6 ottobre la chiesa cattolica ne festeggia la memoria.
San Brunone è il fondatore dell’ordine dei Certosini (noti per il motto: la croce è ferma mentre il mondo gira), una forma di vita monacale fatta di estrema solitudine e povertà, preghiera, meditazione, contemplazione, rigore dell’austerità. Un monaco molto colto, che sotto Papa Gregorio VII, poteva aspirare a scalare le gerarchie ecclesiastiche, ma che invece disgustato da alcuni fatti di corruzione che aveva visto, preferì la vita monastica da eremita.
Dopo l’approvazione del culto di San Brunone, concessa nel 1513 da Papa Leone X, nel ‘600 i monasteri dei certosini si diffusero in tutta Italia. Anche nella città di Taranto, nell’attuale area cimiteriale, esiste una certosa, rimasta tale fino al 1807, anno in cui a seguito della soppressione degli ordini religiosi, i monaci furono costretti ad abbandonare la loro proprietà.
Per quanto riguarda la preziosa medaglietta e l’accostamento di San Brunone a Sant’Oronzo, dato che nell’intero Salento non si conosce nessun culto al santo certosino, è plausibile che la medaglietta votiva, custodita in Spagna, venne indossata in segno di devozione a Sant’Oronzo quale patrono, e a devozione di San Bruno per le sue virtù taumaturgiche di guaritore degli “spiritati” ovvero i posseduti dal demonio.
Fino a qualche decennio fa i cosiddetti “spiritati”, in occasione del lunedì di Pentecoste, venivano accompagnati a Serra San Bruno e in presenza di un esorcista venivano portati nel vicino laghetto omonimo, “il laghetto dei miracoli”, luogo sacro e mistico dove nel 1505 vennero ritrovate le reliquie del santo. Qui venivano immersi nelle acque per praticare riti di esorcismo. Si racconta che nelle stesse acque gelide il santo, durante la sua vita monastica, soleva immergersi per fare penitenza. Nell’antico rito di purificazione collettiva, gli “spirdati” (termine calabrese) dopo aver ricevuto l’esorcismo venivano immersi nelle acque gelide con l’intendo di liberarli dal maligno, grazie alla potenza taumaturgica di San Bruno. Una volta liberati dal demonio, venivano portati fuori dal laghetto e cambiati di abiti. I vecchi vestiti venivano bruciati.
Si racconta che agli inizi del ʼ500 un tale Garetto e sua moglie Isabella accompagnarono alla certosa di San Bruno la propria figlia, la quale “pareva posseduta da uno spirito immondo” affinché le reliquie di San Bruno la liberassero dal demonio. Il prodigio non avvenne e il priore della certosa consigliò ai genitori di ripetere l’esorcismo nella grotta di San Bruno dove successivamente la ragazza sarebbe guarita, infatti dopo la liberazione dal demonio, la ragazza fu in grado di baciare l’effige del mistico. Da questo episodio nacque una forte devozione al santo, un fenomeno antropologico popolare e religioso che non avrebbe conosciuto crisi fino a qualche decennio fa.