Il programma della prima festa leccese, organizzata in onore dei santi patroni Oronzo, Giusto e Fortunato, e quelli proposti nei secoli successivi costituiscono in larga parte un’evidente replica delle motivazioni e delle attività.
Dal 1657, dopo la terribile epidemia iniziata e diffusa nella città e nel regno di Napoli nel marzo dell’anno precedente causando un numero elevatissimo di morti, la solennità, infatti, si svolgeva con diverse cerimonie e manifestazioni essenzialmente simili.
Già in quell’anno, ci furono eventi culturali in onore “del comun patriota e protettore” con gli Accademici Trasformati che presentarono testi letterari e specifiche composizioni poetiche.
Nove cori musicali presentarono, poi, inni “tutti composti in honore di essi santi”.
Naturalmente, con un tipo di sensibilità liturgica diversa rispetto all’attuale maturata secondo i criteri del Concilio Vaticano II, in tre cappelle si susseguivano incessantemente numerosissime celebrazioni di messe, per soddisfare la devozione di parecchi sacerdoti, moltissimi pii fedeli, gruppi di pellegrini della provincia; tanto che non tutte le richieste potevano essere soddisfatte.
Non essendoci, chiaramente la moderna paratura con le caratteristiche luminarie, si rendeva caratteristico ed incantevole l’ambiente cittadino, accendendo per diverse sere lumi e persino falò in gran quantità, tanto da rendere particolarmente suggestiva la vista dell’abitato.
Grandioso e fantasmagorico era poi lo spettacolo dei fuochi d’artificio, accesi al termine della processione che si concludeva in cattedrale.
Merita proprio di essere citata l’enfatica descrizione di un documento del Libro rosso della Città di Lecce: “… si diede fuoco a sei gran pezzi di fuochi artificiali fatti fare sì dal signor sindico come ancora da altri genilhuomini per loro devozione e fu sì ingegnosa et accurata la composizione di essi e sì gravida di polvere che pareva si abbruggiasse il mondo essendo a mirar si nobil vista ivi condottasi et affollatasi la moltitudine di ben trentamila persone per quanto si stima ardendo nel medesimo modo la città tutta per frequentissimi lumi…” (foll. 962-87).
Evidentemente, da sempre la festa manifesta, accomuna e rafforza gli elementi più significativi la coscienza identitaria di un popolo.
Per cui, al di là dell’attuale situazione pandemica, risulta interessante rileggere storicamente e pastoralmente il territorio, con particolare attenzione al peculiare vissuto ed alle scelte della comunità civile ed ecclesiale, riguardanti la religiosità e gli atteggiamenti devozionali della festa patronale.