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Viam que vadit ad Sanctum Orontium”: è la testimonianza documentaria, da tempo nota, che interessa in modo ragguardevole sia la memoria storica del santo vescovo sia un’esplicita indicazione sul territorio a lui riferita.

 

 

 

L’espressione è presente in un diploma del 1181, riguardante un’elargizione di alcuni appezzamenti terrieri, in particolare un fondo adiacente a tale via, destinati dal Conte di Lecce, Tancredi d’Altavilla a costituire la dotazione della chiesa dei Santi Nicolò e Cataldo.

Il documento è interessante perché una copia del testo è tuttora custodita nell’ateneo di Padova e perché attesta in quel periodo un chiaro riferimento al primo presule leccese, qualificato esplicitamente santo ed indicato in rapporto ad una località nota alla popolazione.

Così come, a livello storico-critico, risulta significativa, perché scritta ben prima, oltre vent’anni, dalla preservazione dalla peste attribuita dai leccesi a Sant’Oronzo, per cui è chiaramente anteriore al forte impulso di promuoverne intensamente una grata e notevole devozione da parte del vescovo Pappacoda: attività riletta da alcuni solo con motivazioni dettate dalla volontà di rilancio del potere vescovile.

La “viam que vadit ad Sanctum Orontium” portava a un centro di devozione oronziana noto a tutti, un vetusto edificio sacro, dedicato ai  Santi Oronzo e Giusto, santo al quale era intitolata una delle porte della città, secondo quanto riferisce, a sua volta, nel 1633 Carlo Giulio Cesare Infantino nella Lecce Sacra: “fuori o poco lontano da questa porta fu poi martirizzato S. Giusto, ove dopo il loro glorioso martirio furono edificate due piccole Chiese l’una ad onor di Giusto; l’altra ad Orontio”: probabilmente solo due vani di uno stesso edificio, già in stato di rovina ai tempi dello stesso autore.

Come si evince dalla lapide sita nell’attuale sacrestia, ambiente che probabilmente costituiva uno dei due antichi vani, nel 1657 il canonico Giovanni Francesco Cappello ricostruì poi l’antica chiesa (“vetustissimum templum”, esplicita la lastra commemorativa già nella metà del Seicento), inglobando pure un vano sopraelevato ed una modesta abitazione utilizzata da un eremita.

Successivamente, nel 1907, i vescovi Zola e Gennaro Trama eressero l’attuale maestoso edificio sacro a croce greca, restaurato nel 2000 ed oggi costituito chiesa giubilare.

Certo, sino al Cinquecento la celebrazione di Sant’Oronzo in ambito liturgico non si svolgeva a livello diocesano, non essendo menzionata dal cinquecentesco Breviarium lyciense, ma la memoria e la devozione verso il santo erano fervide ed appartenenti al sentire popolare.

E, quindi, anche tenendo presenti le altre fonti citate dagli storici ed i limiti oggettivi delle scarse antiche documentazioni, occorre sottolineare che la devozione non sorse, magari per l’autorevole volontà e deciso dinamismo del vescovo Pappacoda e per la liberazione di Lecce dalla peste nel 1656.

E che si può sottolineare ulteriormente che, data la presenza di una porta delle mura cittadine intitolata a San Giusto, con la vicina via che conduceva del suddetto “vetustissimum templum”, Sant’Oronzo, anche senza l’ufficialità liturgica sancita dal calendario diocesano, era molto venerato con atteggiamento riconoscente e devoto dalla gente già nei secoli precedenti.

 

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