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Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata dal vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, mons. Vito Angiuli durante la messa presieduta nella cattedrale di Lecce lo scorso 19 ottobre in occasione della celebrazione del Giubileo oronziano del mondo della sanità con la partecipazione del direttore generale della Asl di Lecce, medici, infermieri, operatori sanitari e giovani studenti di infermieristica.

 

 

 

Cari fratelli e sorelle,

celebriamo questa liturgia eucaristica come una tappa del Giubileo oronziano indetto per quest’anno dall’arcivescovo, mons. Michele Seccia, nella ricorrenza dei duemila anni dalla nascita del primo vescovo di Lecce. Scopo del giubileo è rinnovare nella Chiesa e nella società leccese la memoria e il valore spirituale della testimonianza di fede del martire sant’Oronzo, patrono della città di Lecce.

IL SIGNIFICATO E IL VALORE DEL GIUBILEO

Per comprendere il valore dell’iniziativa promossa dall’arcivescovo, occorre ricordare che il giubileo per la Bibbia è “l’anno di grazia”, un tempo di riscatto, di condono, di riposo vissuto in un clima di gioia diffusa e incontenibile.  Gioia e liberazione sono i due sentimenti prevalenti

Il termine giubileo, infatti, deriva dall'ebraico yobel, che significa “corno del capro”, lo strumento col quale veniva annunziato l'inizio dell'anno giubilare, che si celebrava ogni cinquant'anni, mentre ogni sette anni ricorreva l'anno sabbatico, durante il quale si lasciava riposare la terra (cfr. Lv 25). Durante l'anno giubilare, i terreni dovevano rimanere incolti e i debitori rientravano in possesso del patrimonio che avevano perduto, mentre i servi venivano liberati. Si trattava di una sorta di ritorno alle origini e di un nuovo inizio.

Il giubileo ricordava il primato di Dio, che "il settimo giorno si riposò" e al quale appartiene la terra. All’uomo spetta anzitutto lodarlo, ringraziarlo e condividere i beni terreni con gli altri uomini. Probabilmente questo ideale utopico di giustizia e le relative norme sul condono dei debiti non furono mai state applicate concretamente. Tuttavia, l’istituto del giubileo evocava la promessa messianica, richiamata dai profeti e da Gesù. Applicando alla sua persona le parole del profeta Isaia, Gesù ribadì di essere venuto a ridare la libertà agli schiavi e ai prigionieri e a «predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19; cfr. Is 61,1-3).

In definitiva per noi cristiani, il giubileo, più che un tempo, un’istituzione, un’iniziativa pastorale è una persona, Gesù Cristo stesso. In lui, si realizzano pienamente i segni che caratterizzavano l’antico giubileo ebraico, con la sua proposta di rinnovamento, di liberazione, di perdono e di annuncio di un tempo nuovo, di un anno di grazia e un futuro pieno di speranza. Considerato in questa prospettiva, il giubileo non si esaurisce nella programmazione di alcune iniziative di carattere liturgico, ma intende rispondere ad alcune esigenze forti del nostro tempo, come l'aspirazione alla pace, alla giustizia sociale e alla salvaguardia del creato e a farlo ripieni di una gioia interiore.

La meravigliosa lauda di Jacopone da TodiO iubelo del core”, illustra il senso della gioia cristiana intesa come manifestazione pubblica della propria contentezza: «O allegrezza del cuore, / che fai cantar d'amore! / Quando l'allegria si sprigiona, / ci fa così cantare / che la lingua balbetta / e non sa che dire: / non può nascondere ciò che prova, / tanto è grande la dolcezza». Si tratta di lanciare un grido di gioia incontenibile che si manifesta all’esterno non con parole, impossibili da trovare, ma con un gesto, un atteggiamento, un segno visibile di ciò che si agita nel cuore e si esprime fuori con una smisurata contentezza.

CELEBRARE IL GIUBILEO ORONZIANO PER IMPARARE A DONARE CON GIOIA

Il vostro Giubileo diocesano si inserisce in questa ricca tradizione ecclesiale e intende celebrare Sant’Oronzo non solo come vostro patrono, ma anche come vostro modello di vita. Secondo la tradizione, infatti, Sant’Oronzo, quando ancora era pagano, vide sulle rive del porto di Adriano un uomo che aveva fatto naufragio. Si trattava di San Giusto, discepolo di San Paolo. Tra i due vi fu uno scambio di doni: mentre Oronzo lo rifocillava nel corpo, San Giusto curava l'anima di Oronzo che così si convertì alla fede.

Questo episodio aiuta a comprendere la vostra vocazione, cari medici, infermieri e operatori sanitari di ispirazione cristiana. Per voi, l’esempio da seguire è quello di Cristo, buon samaritano. Egli ha mostrato che la carità e l’amore per il prossimo arriva fino al dono totale della vita. Per il credente, il prossimo non è soltanto un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale uguaglianza davanti a tutti, ma è l’immagine viva di Dio, la presenza misteriosa di Cristo, fratello universale. Lasciandosi ispirare da Cristo, l’operatore sanitario pratica l’etica dell’amore come servizio. Gesù, infatti, afferma: «Non sono venuto per essere servito ma per servire» (Mt 20,28).

I Padri della Chiesa hanno dato alla parabola del buon samaritano una lettura cristologica, vedendo in essa una dimensione di storia universale: l’uomo che giace mezzo morto e spogliato ai bordi della strada è un’immagine di “Adamo”, dell’uomo in generale. La strada che va da Gerusalemme a Gerico appare quindi come l’immagine della storia universale; colui che giace sul suo ciglio è immagine dell’umanità ferità. Il buon samaritano è l’immagine di Gesù Cristo e di ogni uomo che si prende cura della persona in difficoltà.

Ogni operatore sanitario deve diventare buon samaritano, mettendosi a servizio della persona ammalata e ferita, imparando ad essere prossimo per l’altro. Occorre diventare una persona dal cuore aperto a lasciarsi turbare di fronte al bisogno dell’altro. Allora diventiamo simili a Cristo, che ci ha amati per primo (cfr. 1Gv 4,19). Abbiamo sempre bisogno di Cristo che si fa nostro prossimo, per poter diventare a nostra volta prossimi nei riguardi dei nostri fratelli.

Emergono così alcuni valori quali punti di riferimento per ogni operatore sanitario: la gratuità del servizio, la solidarietà, la disponibilità al dono di sé. Tutti coloro che lavorano negli ospedali e nelle altre strutture medico-assistenziali devono agire per spirito di condivisione e di solidarietà con l’essere umano che vive in particolari condizioni di difficoltà e di sofferenza. Al centro, infatti, della loro attività sta la percezione della dignità della persona umana. Per questo bisogna sviluppare l’etica della cura. Il famoso motto “I care” di don Milani, è un invito a prendersi cura in prima persona, senza delegare ad altri, operando in modo progettuale e propositivo.

Il valore principale è la gratuità, asse portante e carta di identità dell’operatore sanitario in quanto segno distintivo del dono di sé. Si sviluppa così una sorta di solidarietà, intesa non come sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento, ma come decisione a farsi carico, impegnandosi a promuovere il bene comune, portando un contributo al cambiamento sociale.

Cura, dignità, gratuità, dono di sé, rispetto e solidarietà costituiscono la Magna Charta dei dell’operatore sanitario. Su questi valori germogliano altri benefici atteggiamenti: altruismo, generosità, testimonianza, creatività nelle forme di intervento. Chi agisce in questo modo diventa uno stimolo per la Chiesa a comportarsi secondo la logica del Vangelo e spinge la città a divenire sempre più solidale.

Celebrare il Giubileo vuol dire richiamare il fatto che Sant’Oronzo è stato un testimone di gratuità e di solidarietà e ha vissuto il suo ministero e il suo martirio come un gioioso atto d’amore. Fondato sulla speranza, il vostro giubileo induce ad atteggiamenti di fiducia nel futuro, dimostra che il cambiamento è possibile, stimola la progettualità sociale e scioglie i dubbi di coloro che sono propensi all’immobilismo. La speranza è una virtù che non va confusa con il semplice ottimismo, ma è certezza che i germi di bene, primo o poi, porteranno frutto perché nel loro dinamismo opera una forza superiore che si sperimenta come amica.

Accogliete la testimonianza e l’invito dell’apostolo Paolo a dare secondo quanto ognuno ha deciso nel suo cuore, «non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9, 10). Se non c’è gioia, niente ha valore, nemmeno l’esercizio del volontariato. Non basta infatti fare del bene, occorre che i gesti di bontà e di carità siano accompagnati dalla gioia. Auspico, pertanto, che il Giubileo oronziano diventi per la Chiesa e la società leccese un inno di giubilo e vi faccia cantare la vostra gioia per una Chiesa testimoniale e una città solidale.

* vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca

 

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