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Come essere vicini a tutti uscendo dal recinto della parrocchia? Essenzialmente con questa domanda ricorrente, tutti i referenti diocesani parrocchiali, invitati a coordinare il cammino sinodale 2021-2023 nelle parrocchie della diocesi di Lecce, si sono confrontati venerdì scorso nella chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Grazie in Santa Rosa a Lecce, alla presenza dell’arcivescovo Michele Seccia e dei referenti diocesani per il cammino sinodale.

 

 

 

In un incontro che ha visto come introduzione una riflessione sullo spirito e il senso del cammino sinodale, allargata all’esposizione del percorso previsto da questo inedito sinodo che parte dal popolo di Dio, il presule ha ascoltato tutti gli interventi per poi rispondere ai quesiti e criticità esposti. 

La difficoltà della Chiesa ad aprirsi al mondo esterno e anche all’interno della famiglia nei confronti dei giovani, che spesso parte dalla inadeguatezza di un linguaggio specifico di comunicazione, deve fare i conti con un’accelerazione imprevedibile di cambiamenti epocali che sta travolgendo vecchie e nuove generazioni.

Per l’arcivescovo Seccia la chiave per accedere al cuore e all’anima dell’altro è nel riscoprire la propria identità cristiana di dignità della persona, nella trasmissione dei valori universali. Al primo posto non c’è l’urgenza di parlare della fede, ma la necessità di viverla come esempio di costruzione identitaria di essere umano.

Come ci poniamo di fronte ai problemi? Questa deve diventare la domanda portante per cambiare noi stessi senza “accomodare la fede alle situazioni”, e per modificare l’approccio con l’altro.

Solo la consapevolezza di una fede interiorizzata profondamente e alimentata personalmente può dare quella gioia che dà forza nella normalità giornaliera.

“La sfida è: dove vivi? Come vivi la quotidianità?”. Lì dove sei, puoi vivere la sinodalità con la vicinanza all’altro, soprattutto a chi è lontano o è fragile. Camminare insieme vuol dire questo. Siamo tutti “cercatori di Dio” e solo l’autentica relazione con Lui dà forza alle relazioni con gli altri.

Le ferite della vita, comuni a tutti, sono differenti non per la natura e la qualità della ferita, ma per come si vive quella esperienza. “Riconciliati col fratello! Coltiva la gioia e la speranza! La concretezza della fede è discernere come comportarsi nella vita di tutti i giorni, non giocando sulle parole, ma partendo dalle esperienze di vita”: questo è un obbligo morale!

Soprattutto in questi tempi di scristianizzazione, tutta “la Chiesa deve riappropriarsi della propria identità sacra e sacramentaria, non solo per fare la comunione, ma per sentirsi invitati alla comunione!”.

Cerchiamo di rispondere all’interrogativo: perché ci sentiamo chiamati all’impegno parrocchiale della sinodalità? Cosa ci ha spinto? Una risposta meditata darà il senso alla nostra esistenza perché sia esemplare e perché consenta di essere sani “portatori di fede”.

*Referente diocesana cammino sinodale

 

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