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Portalecce rilancia volentieri un articolo redatto dal vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, dal titolo “La difesa della vita per la pace nel mondo”, apparso domenica 20 ottobre su “Nuovo Quotidiano di Puglia”.

 

 

 

 

Se si continua ancora a discutere del tema dell’aborto vuol dire che si tratta di una questione che non passa di moda perché tocca uno degli aspetti fondamentali dell’umanità. Suscita però una certa meraviglia constatare il duplice metro di giudizio. Se una persona afferma il diritto all’aborto viene ammirata per la modernità del suo pensiero. Se, invece, un’altra sostiene che l’aborto non è un diritto gli si rinfaccia di proporre un dibattito “banale e schematico”. Insomma, bisogna inchinarsi di fronte alla moderna mentalità del primato dei diritti, senza poter fare nessuna obiezione.

Chiedere, poi, di avere un atteggiamento di misericordia a chi ha fatto della misericordia il centro del suo messaggio e dei suoi gesti è come portare i vasi a Samo. È certamente giusto mettere al centro la misericordia, sempre che la si riconosca non solo nei riguardi delle donne e dei medici, ma anche dei bambini non nati. O vogliamo escludere questi ultimi non solo dalla vita, ma anche dalla pietà? Del resto, la misericordia, che per sé è una prerogativa divina, si coniuga con la verità. E, secondo Foucault, la parresìa cioè il coraggio della verità è una virtù provocatoria, ma necessaria per la democrazia. Senza la parresìa, la democrazia va in crisi, come molti ritengono stia avvenendo nel nostro tempo.

È bene, pertanto, sottolineare che il punto centrale della discussione verte intorno alla questione se l’aborto sia un diritto. Intanto non è il caso di richiamare i dolorosi e complessi fatti del passato che sono sempre difficili da analizzare. Non si tratta nemmeno di mettere in discussione la legge 194 né di colpevolizzare nessuno. C’è anzi il desidero di porsi accanto a tutti coloro che sono a favore della vita e che, in sintonia con la legge 194, ritengono che l’aborto sia un «fatto negativo che lo Stato e gli enti locali devono contrastare, prevenendo per quanto è possibile le situazioni che rendono non realistiche le alternative».

Sono diminuiti in questi anni gli aborti? Bene! Si è, però, radicalizzata la cultura abortistafino ad elevare l’aborto a diritto costituzionale, come è avvenuto in Francia e si intende proporre in Europa. Anche in Italia, si susseguono gli appelli al primato della libertà di scelta e al diritto all’aborto e si esprimono giudizi poco lusinghieri sulle persone, i consultori e gli obiettori di coscienza che, in ossequio alla legge 194, intendono aiutare le donne a non abortire.

Ribadisco che il punto centrale della discussione non sono le persone, ma la cultura abortista. L’articolo 1 della legge 194, infatti, recita: «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio». La legge depenalizza la pena, ma non giustifica la colpa. In sostanza, la legge intende andare incontro a un dramma, ma non vuole garantire il diritto di aborto. L’interpretazione corrente, invece, tende a trasformare un fatto doloroso in un diritto. Ci si fa schermo della legge per tacitare la coscienza.

D’altra parte, se si afferma il diritto all’aborto, si sottintende che l’embrione non è un soggetto di diritto. Anzi, non è nemmeno un soggetto, ma solo “materia di scarto”. Questa deriva antropologica non solo è inaccettabile, ma è disumana! È un’ipocrisia collettiva versare lacrime per i due neonati uccisi dalla madre e seppelliti nel giardino e non avere un moto di commozione per chi muore nel grembo della madre.

Sostenendo che bisogna tutelare «la vita dal suo inizio», la legge 194 implicitamente intende dire fin “dal suo concepimento”. La cultura abortista, invece, si arrampica sugli specchi pur di non riconoscere ciò che evidente. Finisce così per affermare la legge del più forte che modernamente viene proposta come un esercizio di libertà. La libertà di chi? Della donna? Che rimane sola con il pesante fardello di fronte a una decisione tra le più difficili della sua vita?

A questo punto è opportuno richiamare quanto diceva don Tonino Bello sull’aborto. L’ho ripetuto molte volte in dibattiti, convegni e articoli. Ma senza esito. Mi sembra di essere una Cassandra o, come leggiamo nei Vangeli, «vox clamantis in deserto» (Mt 3,3; Mc 1,3; Lc 3,4; Gv 1, 23). È questo la dice lunga sul desiderio di tacitare le voci scomode, richiamate a viva voce su altri temi e silenziate sulle questioni antropologiche! Mi tocca pertanto ribadire quanto già detto.

Nel 1977, mentre si compiva l’iter parlamentare di approvazione della legge dell’aborto, don Tonino ammoniva: «Può lo Stato depenalizzare l’aborto? Rifiutarsi di offrire tutela giuridica alla vita del nascituro? La risposta è anche qui: no!»1. Egli considerava l’aborto «un crimine»2 e una «piaga terribile che contamina l’umanità»3. Riteneva che fosse «importante giocare la partita a tutto campo»4 e lottare insieme per i diritti dei poveri e per la difesa della vita. Rimase sempre fedele a questo insegnamento.

Molti anni dopo l’approvazione della legge, divenuto vescovo, nella preghiera “Dammi, Signore, un’ala di riserva”, scritta per la settima giornata della vita, affermò con molta forza: «L’aborto è un oltraggio grave alla tua (di Dio) fantasia. È un crimine contro il tuo genio. È un riaffondare l’aurora nelle viscere dell’oceano. È l’antigenesi più delittuosa. È la “decreazione” più desolante. Ma aiutami a dire, anche, che mettere in vita non è tutto. Bisogna mette anche in luce. E che antipasqua non è solo l’aborto, ma è ogni accoglienza mancata. È ogni rifiuto. Il rifiuto della casa, del lavoro, dell’istruzione dei diritti primari»5.

Parlando in questo modo, don Tonino sottolineava, con parresìa, che non c’è nessun diritto all’aborto, ma esiste il dovere di custodire la vita dal suo concepimento fino alla sua naturale conclusione. Contemporaneamente ribadiva l’obbligo di venire incontro ai più deboli e ai più fragili. Fu dunque il “cantore della vita” e per questo fu un “profeta di pace”. Era, infatti convinto che senza la difesa della vita, in tutti i suoi aspetti, sarebbe stato impossibile costruire un mondo di pace!

 

 

 A. Bello., difesa della vita umana, in Id., La terra dei miei sogni. Bagliori di luce dagli scritti ugentini, a cura di V. Angiuli e R. Brucoli, Ed Insieme, Terlizzi (BA) 2014, p. 325.

2 Ivi, p. 327.

3 Id., Pacifisti, non codardi, in Scritti 6, p. 499.

4 Id., Obiezione di coscienza e società, in Scritti 4, pp. 141.

5 Id., Dammi, Signore, un’ala di riserva, in Scritti 3, p. 316.

 

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