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Mentre viviamo ancora immersi nell’atmosfera del Natale, la Provvidenza ci fa dono di un tempo santo per fare memoria degli oltre due millenni dalla nascita del Salvatore del mondo. Il mondo ne aveva bisogno 2025 anni fa, figuriamoci oggi. Quel giorno, “Il giorno di Natale - come ricorda Peguy - è nata la speranza”.

 

 

 

 

Con questi auspici, pochi giorni fa, Papa Francesco ha aperto la Porta Santa della speranza e l’ha aperta per l’umanità intera. Anche per quell’umanità che paga l’alto prezzo degli errori personali che hanno avuto gravi conseguenze per la comunità: è altamente simbolico il gesto del pontefice che a Rebibbia ha spalancato in piedi quella porta. In altre parole, ha significato che Dio non è rimasto l’irraggiungibile, l’inaccessibile, l’onnipotente - e il mistero del Natale insieme con quello della Pasqua di morte e risurrezione ne sono le prove più tangibili -, ma diventa esso stesso, scardinando i battenti della morte, passaggio ad ingresso libero e mai sold out. Sia pure nelle sembianze della piccolezza e nella fragilità di un Bambino. Sia pure con le braccia e i piedi inchiodati a una croce, come il più pericoloso dei criminali.

Il Giubileo che si apre oggi a Lecce, come in tutte le diocesi del mondo, diventa, dunque, per tutti, anche per coloro che non la pensano come Dio, un treno che passa e che bisogna prendere al volo per non restare a terra e pentirsi per aver perso l’occasione della vita di abbracciarsi all’ancora della speranza (cfr Eb 6,19-20). Scrive San Tommaso d’Aquino, “C’è differenza tra l’ancora marina e quella cristiana, perché l’ancora è gettata in fondo al mare, mentre la speranza è posta in cima, cioè in Dio”.

Accade spesso di confondersi nella scelta dell’ancora: aggrapparsi alle promesse bugiarde, ai falsi idoli - come ho suggerito ai giovani nel messaggio di Natale -, “alle mode passeggere, a chi propone futuri facili, a chi indica le scorciatoie nascondendo la stella polare, a chi vuole vendere allucinazioni in offerta speciale”: tutto ciò equivale alla firma di una cambiale in bianco che porta dritta dritta alla morte del cuore, e fa precipitare nel fondo della disperazione. Puntare in alto, invece, significa garantirsi un futuro di libertà verso un nuovo umanesimo.

 

 

 

 

Passare dalle parole alla vita non è un gioco facile. Perché tutti abbiamo bisogno, come scrive il Papa nel Messaggio per la prossima Giornata mondiale della pace della “giustizia liberante di Dio”. E aggiunge: “Al posto del corno (jobel in ebraico, il cui suo annunciava ad Israele l’inizio dell’Anno Santo, ndr), all’inizio di quest’Anno di Grazia, noi vorremmo metterci in ascolto del «grido disperato di aiuto» che, come la voce del sangue di Abele il giusto, si leva da più parti della terra (cfr Gen 4,10) e che Dio non smette mai di ascoltare. […] Tali ingiustizie assumono a volte l’aspetto di quelle che San Giovanni Paolo II definì «strutture di peccato»”.

Il peccato, frutto della debolezza dell’uomo di ogni tempo, deve essere il bersaglio principale di chi vuole vivere l’Anno Santo come tempo di riscatto e di liberazione: è questo il perdono di Dio e dei fratelli. E della terra tutta che vive le sciagure provocate dall’umanità ingrata: “La speranza - aggiunge Papa Francesco nel Messaggio del primo gennaio - nasce dall’esperienza della misericordia di Dio, che è sempre illimitata”.

L’invocazione del “Padre Nostro” diventa in questo Anno, dunque, quanto mai decisiva: “Rimetti a noi i nostri debiti, Signore, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e in questo circolo di perdono concedici la tua pace, quella pace che solo Tu puoi donare a chi si lascia disarmare il cuore, a chi con speranza vuole rimettere i debiti ai propri fratelli, a chi senza timore confessa di essere tuo debitore, a chi non resta sordo al grido dei più poveri”, così Papa Francesco conclude il Messaggio per la Giornata della pace.

 

*Articolo pubblicato oggi 29 dicembre 2024 dal “Nuovo Quotidiano di Puglia”

 

 

 

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