Il Qohèlet osserva che «c’è un tempo per tacere e un tempo per parlare». Sperimentando “la solitudine dei nativi digitali” (titolo di un recente testo di Giuseppe Riva), possiamo, però, avere addirittura paura del silenzio. Di internet, in verità: precisa la cyberpsicologia.
Nella Lettera pastorale alla Chiesa di Lecce, l’arcivescovo mons. Michele Seccia fa riferimento, invece, a una realtà completamente diversa: il “silenzio luogo salvifico dell’incontro con Dio”, il “silenzio da ascoltare”, il “silenzio che ci consente di ritrovare noi stessi” (nn. 42, 43).
È la proposta di un atteggiamento che non è assolutamente proteso a ridurre le persone al mutismo, a creare una comunità silenziosa, ad ammutolire la gente cancellando il passato, ma a elaborare il presente proiettato in modo più profondo verso migliori obiettivi.
E così imparare ad ascoltare il nostro cuore e quello degli altri, per poi sostenerli nel percorso di costruzione della felicità. Il silenzio, pertanto, non è semplicemente privazione della parola. È condotta interiore. Un modo per pensare, scandagliare, meditare e ponderare il nostro intimo, rendendo più acuta la sensibilità dell’animo.
La vita eremitica e l’esperienza del deserto, ben conosciute dai cristiani, hanno aiutato, infatti, molte anime generose a comprendere in modo più profondo la vicenda umana alla luce della Parola di Dio: una vera scuola per entrare nel profondo di noi stessi dialogando con Dio.
Naturalmente, occorre apprendere l’arte dell’ascolto, sino a giungere all’esperienza di fede con Dio e all’empatia con l’altro.
È proprio questo il motivo per cui nell’attuale momento storico lo stordimento delle tante voci ci spinge a desiderare il ristoro della Parola, un’oasi senza il “rumore delle parole” (riuscito titolo dell’ultimo libro di Vittorino Andreoli).
In tale contesto, mons. Seccia fa esplicito riferimento a Papa Francesco, che ha parlato di un “filo sonoro di silenzio che è la musica propria dell’amore” (Omelia, 12 dicembre 2013).
Un amore prezioso per ascoltare le domande intime del nostro io e curare lo spirito, superando tante forme di stordimento e di passiva sottomissione alle tecnologie massmediali, riconoscendo le proprie risorse di spiritualità e aprendosi all’altro, per compiere, magari insieme, itinerari di comunione umana e cristiana.
Foto di Arturo Caprioli