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Illuminati dal sepolcro vuoto ieri siamo andati a Betlemme. Abbiamo pregato non solo nell'attesa di poter entrare per venerare la stella che ricorda il mistero del Verbo di Dio che si è fatto bambino, ma soprattutto abbiamo per chiedere la grazia di poter accogliere lo stesso Verbo che si fa parola di vita.

Una Parola che sempre si spezza e sempre  chiede a noi di poter prendere vita. Poter diventare seme, presenza del regno che vuole generare la vita in noi e per mezzo nostro, nel cuore e nella piccola storia dei fratelli, soprattutto i più poveri, i più piccoli.

Il vescovo Michele ci ha inviato soprattutto ad accogliere e custodire la presenza di Dio nei bambini, soprattutto i più piccoli e indifesi. A tal proposito ha fatto riferimento all'esperienza di una suora, presente nel nostro gruppo di pellegrini, che vive il servizio a favore dei bambini abbandonati, soprattutto quelli affetti da gravi disabilità. Ci ha chiesto di accogliere l'annuncio del Natale nell'ordinario della nostra quotidianità con la stessa disponibilità e lo stesso stupore dei pastori che solo vegliavano il loro gregge.    

Il nostro percorso pomeridiano è iniziato con un' immersione dell'esperienza religiosa dell'antico e del nuovo Israele. Una visita al Muro occidentale del Tempio, una condivisione di una esperienza di preghiera già vissuta dai nostri maestri nella fede, San Giovanni Paolo II, Papa Francesco. L'affidare al Dio dei nostri Padri, quel tempo di salvezza che noi oggi, insieme, ebrei e cristiani, siamo chiamati a vivere.                               

E passando attraverso la zona ebraica della città, sfiorata la Chiesa che ricorda la Dormitio Mariae, siamo entrati "nella stanza al piano superiore", il Cenacolo. Memoria e profezia. Memoria dei misteri che lì sono stati vissuti "nella notte della cena", eucaristia, servizio, amore scambievole, che diventano profezia per la nascita di quell' umanità nuova che nella celebrazione della prima Pasqua cristiana trova la sua fonte e nella celebrazione della Pasqua di ogni comunità vuole trovare forza e compimento.                       

E di questa Pasqua tutti siamo sacerdoti. Ma in particolare lo sono i tutti i sacerdoti nelle cui mani è posto il pane della vita, il potere dei segni che diventa servizio ai fratelli e ministero di riconciliazione e unità.       

Il punto di ripartenza al termine del pellegrinaggio non può non essere la tappa conclusiva che abbiamo vissuto, la Chiesa del Galli Cantu, il luogo dove l'amore misericordioso di Gesù ha incontrato la miseria di Pietro e, oggi, la nostra miseria.               

E come Pietro da lì è ripartito, noi da lì vogliamo ripartire.

Il nostro pellegrinaggio termina qui. Torniamo a Lecce più ricchi e ancor più radicati nella nostra fede. Ma anche consapevoli che il nostro viaggio verso la santità è lungo e ancora lontano dalla croce e quindi più lontano dal sepolcro vuoto. Ma la pazienza di Dio è infinita. Anche se a piccoli passi camminiamo verso lui. Di sicuro Lui è sempre lì ad attenderci.

Grazie a don Damiano al costante e puntuale diario del pellegrinaggio diocesano in Terra Santa guidato dall'dall'arcivescovo. Grazie ai suoi appunti di viaggio anche da Lecce abbiamo potuto seguire i passi dei nostri amici fino a Gerusalemme. Portalecce ringrazia

 

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