All'esultanza della Chiesa di Lecce per la celebrazione giubilare del venticinquesimo di ordinazione episcopale del suo zelante pastore mons. Michele Seccia associo la mia personale esultanza di suo affezionato confratello, e prima ancora di figlio della santa Chiesa leccese, che venera in lui il padre e il pastore.
Venticinque anni hanno intessuto una storia di meraviglie di grazia, iniziata l’8 settembre 1997 attraverso l'imposizione delle mani e la preghiera dell’arcivescovo mons. Francesco Colasuonno.
Con l’effusione “della potenza del Padre, lo Spirito che regge e guida”, significativamente espressa dalla “mistica unzione sul capo” col crisma, don Michele diventava “partecipe del sommo sacerdozio di Cristo”, successore degli apostoli e vescovo della Chiesa di Dio.
A un dono così grande e impegnativo Gesù stesso lo ha preparato per venti anni con quello non meno grande e impegnativo del presbiterato, ricevuto attraverso l’imposizione delle mani dell’arcivescovo di Barletta, il leccese mons. Giuseppe Carata: un ministero vissuto ed esercitato in modo irreprensibile, con intensità di fede e di amore, con competenza ed entusiasmo in diversi servizi pastorali, come viceparroco e parroco, docente nell’Istituto superiore di scienze religiose e nei licei statali, direttore dell’Ufficio catechistico e vicario generale.
Personalmente ammiro e apprezzo mons. Seccia particolarmente per l’insistenza con la quale sottolinea l’importanza della preghiera, come sostegno ineliminabile per rispondere alla vocazione universale alla santità. E il Giubileo Oronziano, appena terminato, ne è la riprova più concreta.
E sono anche edificato dal modo con cui celebra l’eucaristia: rivela in quanta considerazione egli tenga il “Mistero” posto nelle sue mani, e quanta forza ne attinga per tradurlo nella vita personale e nel ministero pastorale, soprattutto come segno, principio e fondamento di comunione e di unità dell’arcidiocesi, a cominciare dal presbiterio, luogo sacramentale e perciò primario della comunione dei presbiteri col vescovo e tra di loro.
Ringrazio con lui il Signore per le tante meraviglie del suo amore che ha operato e opera nella vita personale e attraverso la missione pastorale di mons. Seccia. Tutte sono note solo a Dio, ma in tanta parte anche a noi, soprattutto a quanti egli ha servito e serve con amore.
Ma il grazie va anche a lui per la esemplare testimonianza di fedeltà offerta alle Chiese di San Severo, di Teramo e di Lecce. Quella fedeltà sponsale significata dall’anello che gli è stato posto sul dito della mano destra per “custodire la Chiesa, sposa di Cristo”.
Col cuore di fratello più anziano, che ha avuto la grazia e la gioia di consegnargli il pastorale della Chiesa di Lecce, auguro che con l’assistenza materna di Maria, da lui tanto amata, egli possa continuare a collaborare con Cristo nella missione apostolica per lunghissimi anni a gloria di Dio e a edificazione del suo popolo.
*arcivescovo emerito di Palermo