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Sciopero in Rai, “legge bavaglio”, querele temerarie e notizie di parte: il giornalismo italiano è sempre più minacciato.

 

 

 

Come ogni anno, lo scorso 3 maggio si è festeggiata la giornata mondiale della libertà di stampa, istituita nel 1993 dalle Nazioni Unite per ricordare l’importanza di un diritto troppo spesso negato e che, come tutti i diritti, va difeso quotidianamente anche laddove è già stato conquistato con fatica. Proprio negli stessi giorni, nuove polemiche e contrasti hanno scosso la televisione pubblica, fino ad arrivare allo sciopero dei dipendenti Rai dello scorso 6 maggio. E allora, a che punto è la libertà di stampa in Italia?

L’annuale classifica stilata da Reporter Senza Frontiere (Rsf), che misura l’indice della libertà di stampa in ogni Paese basandosi su indicatori politici, economici, legislativi, sociali e di sicurezza dei giornalisti, colloca l’Italia al 46esimo posto a livello mondiale, con una perdita di cinque posizioni rispetto allo scorso anno. Secondo questo studio, “la libertà di stampa italiana continua ad essere minacciata dalle organizzazioni mafiose, soprattutto a Sud del Paese, così come da piccoli gruppi estremisti violenti”. Ma a pesare sarebbero soprattutto i tentativi, da parte della politica, di ostacolare l’attività giornalistica attraverso la pratica ormai fin troppo consueta delle querele temerarie, le cosiddette slapp, ossia azioni legali intentate da personalità pubbliche oggetto di inchieste giornalistiche con l’obiettivo di intimorire i giornalisti querelati e di scoraggiare altri a seguire il loro esempio. A ciò si aggiunge poi la recente approvazione della cosiddetta “legge bavaglio”, ovvero una norma di delegazione europea, emendata dal deputato Enrico Costa, che vieta la pubblicazione integrale o per estratto (è consentita solo la sintesi giornalistica) di un’ordinanza di custodia cautelare fino all’udienza preliminare.

Un altro punto da anni molto dibattuto riguarda l’influenza della classe dirigente sulla Rai, tema tornato alla ribalta proprio in queste ultime settimane a seguito della cancellazione del monologo di Antonio Scurati in occasione del 25 aprile e che ha portato l’Unione sindacale dei giornalisti Rai (Usigrai) a scioperare lo scorso 6 maggio annoverando, tra le varie motivazioni, la necessità di difendere “la libertà e l’autonomia del servizio pubblico”.

Ma il problema non riguarda più solo la televisione pubblica. Il giornalismo italiano ha perso la sua credibilità - sia stata essa spontaneamente venduta o gli sia stata tolta con la forza - e sembra sempre più avvezzo a fornire opinioni piuttosto che informazioni, notizie di parte piuttosto che fatti. E allora, mentre la politica fa a gara a quale sia stato il partito che ha fatto più danni, sarebbe forse il caso, oggi più che mai, che i giornalisti siano compatti nel difendere la propria libertà, smettendo di asservirsi a fazioni opposte e anteponendo la necessità di informare alle proprie idee politiche.

 

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