Da quando applicazioni quali Chat Gpt sono diventate di utilizzo relativamente comune, tutti parlano di intelligenza artificiale e si confrontano con questa nuova tecnologia.
E molti esprimono anzitutto una perplessità, un malumore, una diffidenza. Per dirlo con una parola grossa… paura. La reazione è comprensibile: chi di noi può rimanere indifferente davanti a corpi azzurrini che si sciolgono in una serie infinita di 0 e 1 o a cavi elettrici che escono da cervelli umani scoperchiati? Certo non è questa l’umanità che vogliamo, per noi e soprattutto per le generazioni che verranno. Anche il confronto con i robot ci inquieta: non siamo fatti per parlare con macchine, men che meno, per viverci insieme o addirittura innamorarsi, come diversi film di fantascienza ci hanno mostrato e qualche narrazione ci porta a ritenere quantomeno possibile nel prossimo futuro.
Se poi qualcuno è esperto del mondo del lavoro o si occupa di educazione sa bene che nel prossimo futuro, segnato pesantemente dall’introduzione dei sistemi di intelligenza artificiale, dovremo affrontare la cancellazione di intere categorie professionali e una didattica che dovrà necessariamente cambiare. Ma forse non serve essere esperti di qualche campo specifico: qualunque genitore o nonno è seriamente preoccupato del numero di ore che figli e nipoti trascorrono davanti allo schermo del loro cellulare, preferendolo perfino a una sana partita di calcio tra compagni o a una sessione frizzante di shopping con le amiche.
Dobbiamo davvero avere paura di questa nuova tecnologia? È sensato e responsabile il richiamo nostalgico a un passato meno digitale ma apparentemente più umano? Queste e molte altre domande che affiorano continuamente nella mente di molti, dimostrano una sana passione per il destino dell’umanità. Anche e soprattutto nelle comunità cristiane che, in obbedienza al Vangelo, si prendono cura delle persone e del futuro, soprattutto di quello dei più poveri e dei più deboli. Persino il Papa è più volte intervenuto sul tema dell’intelligenza artificiale. L’ultima volta lo ha fatto la scorsa settimana. Nel recente discorso al Corpo diplomatico accreditato in Vaticano, Papa Francesco ha riconosciuto al contempo “indubbi vantaggi” e “limiti e insidie” di questa nuova frontiera dello sviluppo tecnologico.
Il discorso più articolato del Papa ci aiuta a impostare la doverosa riflessione davanti a questo fenomeno. Non possiamo fermarci alla paura. Abbiamo invece bisogno di conoscere più approfonditamente un fenomeno nuovo e molto complesso. Abbiamo bisogno di superare la prima reazione istintiva per affrontare con serietà vantaggi e insidie. Abbiamo bisogno di coordinate nuove con cui guidare questo fenomeno in atto. Abbiamo bisogno, in fondo, di continuare ad essere umani: donne e uomini che con saggezza abitano il mondo e la storia, facendo tesoro dei doni di Dio, carichi di uno stupore non ingenuo: è dai tempi del catechismo che ci parlano del peccato originale e di quell’egoismo mortifero che segna ogni agire dell’uomo.
Se non vogliamo cadere nella tentazione di una lamentosità tanto rumorosa quanto sterile, dobbiamo fare la fatica di provare a comprendere ciò che sta accadendo e di discutere insieme su dove e come vogliamo andare. Lo deve certamente fare chi ha responsabilità sociali finanche planetarie (come questo fenomeno globale impone), lo dobbiamo fare anche noi, persone comuni, che non rinunciamo ad essere donne e uomini (pensanti e amanti) di questo tempo.
Anche questa piccola rubrica che si inaugura oggi vuol essere un contributo a una discussione saggia da cui non possiamo esimerci. Perché non possiamo avere paura.