Stefania Caruso, 21 anni, studentessa presso Alma Mater Studiorum, dipartimento di giurisprudenza. Co-founder del blog Parolaperta dal 2017.
I giovani del terzo millennio, in quale spazio comune si ritrovano per un fertile confronto secondo te, più reale o virtuale?
Credo che il confronto oggi sia prevalentemente virtuale. In questo un ruolo preminente l’ha giocato il Covid, che ha accelerato quel processo di digitalizzazione degli spazi sociali, nato insieme ai social network. Se da una parte il confronto online consente di abbattere i confini, rendendosi quindi più democratico ed inclusivo, dall’altra troppo spesso rischia di appiattire il dibattito attorno a posizioni polarizzate e slogan, erodendo la riflessione e la costruzione di idee. Sarebbe bene, forse, rigenerare accanto a quelli virtuali, anche gli spazi comuni fisici: collettivi, salotti, piazze, atenei devono tornare ad essere cuori pulsanti del confronto culturale, sociale e politico.
Il ventenne di oggi, si sente ascoltato dalle generazioni che lo hanno preceduto o ne avverte spesso solo il peso del giudizio?
Mi servo delle recenti elezioni per rispondere a questa domanda: ho sentito spesso nel corso della campagna elettorale rappresentanti o aspiranti tali parlare a nome dei giovani, ritendendo di conoscerne i disagi e le necessità; pochi - o nessuno di loro - però, si sono impegnati ad ascoltare realmente le nostre esigenze e preoccupazioni. Anche la pandemia vale da esempio: spesso ci siamo sentiti additati e giudicati, troppo di rado, invece, ci è stato chiesto un confronto sul malessere che stavamo vivendo. Ritengo che sia necessario educarci, socialmente, ad una comunicazione intergenerazionale che ci permetta di costruire insieme un futuro florido e sostenibile.
Quanto conta secondo te, il valore della parola come scambio di opinioni, pensieri, ideali?
La parola è lo strumento principale dell’uomo in quanto 'zoon politikon', animale politico. Credo che ciò che ci differenzia dalle altre specie animali sia proprio la possibilità di utilizzare un linguaggio codificato che ci consente di creare relazioni e trasmettere contenuti. Ecco perché trovo sia necessario continuare a preservare la parola, allenarne l’uso anche nei nuovi sistemi che spesso la sostituiscono con simboli ed immagini.
Curi un blog molto seguito che si chiama appunto, Parola Aperta. Con quale obiettivo hai deciso di dedicarti a questo progetto e spinta da quale necessità?
Durante gli anni del liceo mi accorsi, insieme ad un compagno di classe, che la nostra era una generazione dal forte potenziale ma con poche possibilità per esprimerlo, quantomeno liberamente. A questo si accompagnava la consapevolezza che le testate nazionali sono sempre più depauperate della loro libertà di espressione, costrette a limiti e censure. Così abbiamo creato ParolAperta, inizialmente solo un blog online, oggi una vera rete di ragazzi -siamo già una cinquantina- che su tutto il territorio nazionale si dedica alla riflessione, al dibattito ed alla creazione. Ecco perché ci piace definirci un megafono generazionale. Ci serviamo dei vari canali social: instagram, tiktok, youtube, e spotify e quando possibile organizziamo degli incontri: quest’estate, ad esempio, siamo stati in campeggio in Salento e a breve organizzeremo un evento sul fast fashion a Bologna.
Come vivi il tuo tempo, sentendoti al passo col momento storico in corso o avverti un certo disagio generato dall’incoerenza che spesso lo accompagna?
Non nascondo che spesso mi sento disorientata: il nostro è un momento storico turbolento, mi verrebbe da dire 'ultra-fast'. Da una parte si parla di post-umano e di metaverso, dall’altra viviamo continue fasi di crisi. Le incertezze dilagano, ma penso che non dobbiamo perdere la fiducia nel futuro, non possiamo abbandonarci ad un racconto distopico.
I giovani di oggi, secondo te, sono più felici o più preoccupati e ansiosi di quelli delle generazioni precedenti? E in entrambi i casi, perché?
Sento di non poter rispondere in maniera così polarizzata: il progresso tecnico-scientifico ci permette di accedere a possibilità che i nostri genitori e nonni certamente non avevano, non sono però totalmente certa che questo sia un indicatore di felicità aggiunta. Talvolta questo 'tutto' del quale possiamo disporre sembra portare con sé un forte senso di smarrimento, accompagnato da un'ansia di deludere le aspettative di una società per la quale nulla è mai abbastanza.
Cosa vogliono i giovani del terzo millennio? Cosa si aspettano dalla società, da noi adulti, dal mondo? Leggendo le risposte di Stefania alla mia intervista, ho riflettuto non poco e spero che le sue affermazioni possano suscitare la medesima reazione in chi le leggerà. I nostri ragazzi chiedono spazi fisici dove incontrarsi, confrontarsi, dialogare, dibattere e anche scontrarsi. Chiedono luoghi dove possano, e diciamolo che è liberatorio, finalmente abbracciarsi! I ventenni del 2022 vogliono tornare a popolare piazze, salotti, atenei, vogliono essere, per citare Stefania, “cuori pulsanti” del confronto culturale, sociale e politico.
Cos’altro chiedono a noi adulti? Di essere ascoltati realmente e per farlo in maniera adeguata, dobbiamo confonderci tra loro, osservarli, conoscere i loro problemi, i loro disagi, le loro paure. Basta comizi dove per “farsi più belli” si mastica la parola giovani. Se non siamo veri, loro se ne accorgono e si sentono traditi. Stefania riferisce che in pandemia i ragazzi si sono sentiti giudicati, additati e quasi mai interrogati sul malessere che il periodo stava procurando loro. Tutto ciò è molto grave!
I nostri ragazzi dichiarano di sentirsi disorientati dal momento storico e a volte quasi di sentirsi avulsi dal contesto della società odierna, generatrice di instabilità, ansia, incertezze. Cosa li salverà? Cosa ci permetterà di salvarli e di salvarci? La parola, l’empatia che genera il verbo, la solidarietà che produce, la bellezza che crea, perché stabilisce una relazione, elemento fondamentale per l’evoluzione personale, per la crescita intellettiva e animica, per lo sviluppo sociale.
Loro si sentono smarriti e noi dobbiamo aiutarli a ritrovarsi. Giudicandoli meno, accogliendoli di più, conoscendoli meglio e amandoli senza misura.