Domenica scorsa, mentre la Chiesa celebrava la Pentecoste, il giovane cantante Niccolò Moriconi, in arte Ultimo, ha rilasciato un’intervista al “Corriere della Sera”.
L’intervista riguardava la situazione a suo modo di vedere critica della “generazione z”, quella nata con uno schermo touch tra le mani, con il rischio di guerre e pandemie sullo sfondo del quotidiano e una rassegnata certezza circa le proprie possibilità economiche future - i ragazzi di oggi, insomma.
Non possiamo non condividere il punto di partenza del giovane cantante: “Essere giovani oggi è tremendo. Perché sei senza punti di riferimento.” E poi prosegue: “Non conosco nessun ragazzo della mia età che vada a votare, e nessuno che vada in chiesa”.
Queste considerazioni sono interessanti, perché un giovane famoso, che senz’altro esprime un modo di sentire certamente condiviso da molti suoi coetanei o più giovani, sta dicendo pubblicamente che la contestazione di valori e idee “forti”, tanto osannata in passato dagli ormai impenitenti settantenni benestanti e lamentosi, non presenta alcun aspetto positivo per chi questo mondo l’ha dovuto ereditare, e dovrebbe portarlo avanti.
Nel corso dell’intervista, tuttavia, l’interesse di un lettore desideroso di capire e immedesimarsi nel punto di vista di un ragazzo che, secondo i parametri del mondo, “ce l’ha fatta” non può che scemare, e lasciare il posto a una certa delusione.
Perché è giusto deprecare gli adolescenti che passano dodici ore al giorno a “scrollare” sui social, ma c’è da chiedersi come farebbe Ultimo a raccoglierne quasi quattro milioni come follower su Instagram se questa deprecabile abitudine venisse meno… e se personaggi vistosi come lui non la incentivassero ad arte.
Va bene che il ragazzo si limiti a frasi fatte e osservazioni superficiali sulla politica, perché in fondo la sua premessa esplicita era stata che nessuno della sua generazione ne sa nulla, ma la soluzione a tutta la malvagità dei politici del mondo qual è? “Bere un buon vino con i miei amici. Guardare Shameless, una serie americana, con la mia fidanzata Jacqueline. Le canzoni. Non è scappare dal mondo, è guardarlo con gli occhi dell’altrove”. Cioè scappare dal mondo, per l’appunto, perché “altrove” rispetto al reale significa vivere di costanti rimozioni e negazioni, evasioni.
E pensare che proprio la Chiesa, che lui aprioristicamente definisce deludente, nelle parole di Papa Francesco ai tempi della Laudato Si’ aveva delineato con grande lucidità l’atteggiamento espresso da Ultimo in questa intervista:
“Il consumismo ossessivo è il riflesso soggettivo del paradigma tecno-economico. […] Tale paradigma fa credere a tutti che sono liberi finché conservano una pretesa libertà di consumare, quando in realtà coloro che possiedono la libertà sono quelli che fanno parte della minoranza che detiene il potere economico e finanziario. In questa confusione, l’umanità postmoderna non ha trovato una nuova comprensione di sé stessa che possa orientarla, e questa mancanza di identità si vive con angoscia. Abbiamo troppi mezzi per scarsi e rachitici fini. La situazione attuale del mondo ‘provoca un senso di precarietà e di insicurezza, che a sua volta favorisce forme di egoismo collettivo’. Quando le persone diventano autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria avidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare. In tale contesto non sembra possibile che qualcuno accetti che la realtà gli ponga un limite. In questo orizzonte non esiste nemmeno un vero bene comune. Se tale è il tipo di soggetto che tende a predominare in una società, le norme saranno rispettate solo nella misura in cui non contraddicano le proprie necessità. Perciò non pensiamo solo alla possibilità di terribili fenomeni climatici o grandi disastri naturali, ma anche a catastrofi derivate da crisi sociali, perché l’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca” (Francesco, Laudato Si’, 203-204). Ultimo esprime con candore giovanile il bivio a cui si trova ogni essere umano quando deve decidere se imbarcarsi o meno nell’avventura di cambiare un pezzetto di mondo.
Nella vita di oggi, infatti, con tutte le sue complessità reali e virtuali, ci sono due possibilità: o si entra con il proprio sguardo e il proprio cuore nel mondo, per cercarvi la verità, la bellezza e il proprio telos (che in greco vuol dire la fine, ma anche il fine, e cioè quello per cui valga la pena di dare la propria vita), oppure si prova a fare entrare il mondo dentro di sé, nella forma del consumo. Nel primo caso il mondo, cioè il reale, è il luogo inesplorato da percorrere e decifrare, vedendo quali punti di esso risuonano più o meno con quello che abbiamo dentro; nel secondo caso il mondo è davanti a noi come esplicita e variegata possibilità di consumo, e il mio assenso si dirigerà verso ciò che preme con maggiore efficacia sui miei sensi e sulle mie aspettative. Dall’interno verso l’esterno versus dall’esterno verso l’interno.
Cercatore o consumatore. Alla fin fine il dilemma si riduce a questo.
Ultimo questa scelta al momento sembra averla fatta: “Noi proviamo a dare un senso alle cose. Ma la realtà non è sensata. La realtà è tremenda. È schifosa. Guerra, paura, sottomissione, chiusura: stai attento a quello, non fare quell’altro. Per questo ci costruiamo un altrove”.
Se all’inizio dell’intervista il cantante poteva dire che non conosce nessuno che creda a qualcosa, va anche detto che ognuno tende a circondarsi di persone che condividano la sua visione, perché per fortuna non è sempre così: ci sono tanti giovani che ci credono ancora alla possibilità di rinvenire il senso e di spendersi per qualcosa, e sono questi a cambiare il mondo, un pezzetto alla volta. Personalmente ho la fortuna quotidiana di incontrarne, e forse anche il privilegio di contribuire a riaccendere in non pochi di loro la scintilla di desideri grandi e belli e veri. Ragazzi e ragazze che se lo bevono pure il vino con gli amici, come fa Ultimo con i suoi, ma che non fanno di questo l’alternativa a farsi carico del dovere di trovare la propria vocazione specifica ad amare.
Mi spiace che questo ragazzo così talentuoso sia rimasto deluso dalla Chiesa, anche se mi chiedo se abbia mai davvero cercato interlocutori in essa, o piuttosto non si stia limitando, in questo come in altre cose da lui menzionate, a una rassegnazione aprioristica, pretesto di un godimento senza scopi o impegno. Rimane vero anche per lui quanto Papa Francesco scrive di seguito al brano succitato della Laudato Si’: “Non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi, al di là di qualsiasi condizionamento psicologico e sociale che venga loro imposto. Sono capaci di guardare a sé stessi con onestà, di far emergere il proprio disgusto e di intraprendere nuove strade verso la vera libertà. Non esistono sistemi che annullino completamente l’apertura al bene, alla verità e alla bellezza, né la capacità di reagire, che Dio continua ad incoraggiare dal profondo dei nostri cuori” (Ididem, 205).
Questo mi porta a sperare che un ragazzo che ha avuto la forza e la determinazione di credere nei propri doni, e abbia imparato a vivere della propria arte, saprà riconoscere prima o poi nella sua vita la possibilità della gioia autentica, quella che senz’altro ha provato almeno agli inizi, quando andava comprendendo gli indizi della propria vocazione, quando era ancora un cercatore.
Ultimo, nella speranza che tu ancora sia un cercatore e non un mero consumatore, e nell’augurio che in ogni caso tu possa esserlo o tornare a esserlo, se vuoi fare due chiacchiere, ci sono.