Giro di vite su smartphone e social: è di pochi giorni fa la petizione (FIRMA) lanciata su change.org da Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva e scrittore, insieme al pedagogista Daniele Novara, per chiedere al governo di mettere “fuorilegge” lo smartphone prima dei 14 anni e vietare l’uso dei social agli under 16.
Dopo la circolare del ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara dello scorso luglio, con il divieto di utilizzo in classe del cellulare, anche a fini educativi e didattici, fino alla secondaria di primo grado, scendono in campo i due esperti, motivando la propria iniziativa con evidenze scientifiche. Un dibattito già aperto in Francia e negli Usa: proprio il 10 settembre è uscito anche in Italia “La generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli” dello psicologo statunitense Jonathan Haidt. Tema non nuovo anche per Pellai che lo ha già affrontato in diverse occasioni, in particolare nel suo libro “Allenare alla vita” (Mondadori). Lo abbiamo incontrato.
Dottor Pellai, quali sono i motivi che vi hanno spinto a lanciare la petizione?
Da un lato l’evidenza clinica e di ricerca secondo la quale utilizzare lo smartphone prima dei 14 anni aumenta il rischio di sviluppare una serie di problemi che hanno a che fare con la salute fisica, mentale e socio relazionare. Dall’altro la consapevolezza che l’acquisizione da parte di bambini e bambine che diventeranno ragazzi e ragazze, di abilità e competenze per sostenere le sfide dell’esistenza, insomma per “allenarsi” alla vita, avviene molto meglio nella vita reale che nella vita virtuale. La fragilità che oggi constatiamo nell’età evolutiva, e più in generale i problemi legati alla salute mentale, sono anche - non solo, ma anche - il risultato del fatto che gran parte della vita dei minori si è trasferita nella dimensione digitale. Oggi, rispetto a vent’anni fa, salute mentale e qualità di vita dei minori sono peggiorate.
Lei parla anche di deprivazione di sonno e deficit di attenzione, concentrazione e comprensione.
Analizzando tutte le ricerche disponibili, emerge che l’uso precoce dei device impatta in modo significativo su quattro aree. I giovanissimi utilizzatori soffrono di deprivazione di sonno, hanno meno relazionalità sociale, soffrono di frammentazione dell’attenzione e di fragilità dei funzionamenti cognitivi. Le parole che un diciottenne sa usare e comprendere sono molto meno numerose di quelle dei diciottenni di vent’anni fa. La quarta area è quella dell’addiction. Se un bambino si avventura in un territorio architettato per trattenerlo il più possibile al suo interno, da un lato diventa incapace di smettere, dall’altro si esclude da esperienze nella vita reale, preziose per la sua crescita.
Insomma lo smartphone può diventare una specie di trappola?
Una trappola che imprigiona e crea dipendenza. Questo è l’addiction: un campo magnetico in cui tu diventi un pezzetto di ferro che non ha la capacità di resistere, ma va nella direzione verso cui viene attratto.
La petizione afferma che prima dei 14-15 anni, il cervello emotivo dei minori è molto vulnerabile all’ingaggio dopaminergico dei social media e dei videogiochi. Ci può spiegare meglio?
Nel nostro cervello esistono circuiti neuronali che si attivano di fronte a stimoli che vengono decodificati come fonte di gratificazione istantanea. Questa gratificazione istantanea produce un neuromediatore biochimico, la dopamina. Il problema della dopamina è che più si vive un’esperienza dopaminergica, tanto più il cervello chiede di continuare a fare quell’esperienza: si instaura un vero e proprio circolo vizioso. Quello che si verifica ad esempio con il videogame Fornite costruito per agganciare i funzionamenti dopaminergici: un ragazzo può trascorrere ore giocando senza accorgersene, e se volesse smettere il suo cervello gli direbbe invece: vai avanti. Il minore non riuscirà mai a dire da sé: adesso lo spengo e vado a studiare, anche perché studiare non attiva la dopamina ma chiede un ingaggio cognitivo e accende reti neuronali in conflitto con i funzionamenti dopaminergici.
Che cosa dovrebbe fare in concreto lo Stato?
La petizione sposta il tema, finora di pura responsabilità genitoriale, chiedendo di immetterlo nei luoghi dell’educazione, come in parte già avvenuto con la circolare del ministro Valditara. Però se io insegno a mio figlio a non fumare, e poi qualcuno gli regala un pacchetto di sigarette e nessuno lo ferma, c’è un conflitto tra la linea educativa che il mondo adulto dovrebbe adottare per un minore e quanto poi accade nel mondo reale. Lo Stato allora, di fronte a conclamati fattori di rischio per la salute del minore come l’alcol o il fumo, stabilisce norme e divieti a supporto del progetto educativo dell’adulto e a tutela del bambino. Laddove non arriva la famiglia, deve arrivare un messaggio chiaro dallo Stato: la società civile decide qual è il bene maggiore per il minore, non lascia discrezionalità intorno a questo tema ma stabilisce un limite chiaro con l’obiettivo non di reprimere, bensì di proteggere.
Molti genitori, pur contrari, si sono sentiti “costretti” a mettere lo smartphone in mano al proprio bambino “perché ce l’hanno tutti”.
È la cultura che deve cambiare. Il nostro principale obiettivo è dare un forte segnale in questo senso. Probabilmente non arriveremo ad una legge che risponda alla nostra richiesta, ma certamente promuoveremo norme a livello locale. Quello che vogliamo è mantenere acceso il dibattito su un tema strategico per tutti i nostri ragazzi.