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“La pandemia ci insegna ancora di più che siamo fatti gli uni per gli altri, che abbiamo bisogno gli uni per gli altri, quindi tutti, Stato, Chiesa, società civile, tutti debbono fare la loro parte nel contrasto alla criminalità”.

 

 

 

Lo ha dichiarato il vescovo di San Severo, mons. Giovanni Checchinato, dopo la visita a Foggia lunedì scorso del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. “C’è una componente che non può essere delegata a nessuno e che è impegno di ogni singolo cittadino, che deve essere, con le sue scelte, quella porzione buona, bella, positiva che permette alla situazione di migliorare - prosegue il presule -. Vorrei citare un’espressione di Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis: strutture di peccato. Quando si parla di strutture significa che c’è una complessità di realtà che agiscono in maniera organica secondo la logica del male, ma in maniera perversa rispetto alle realtà che siamo chiamati a realizzare nel bene. Quindi, non può esserci l’intervento singolo della Chiesa, dello Stato, della magistratura, ognuno per conto suo, ma deve esserci proprio una sinergia radicale che possa permettere di creare cultura della legalità, cultura del bene. In questa maniera, forse, è possibile trovare delle strade diverse rispetto a quelle rappresentate dalla violenza bieca a cui assistiamo ogni giorno”.

Certamente, sottolinea il vescovo, “è compito della Chiesa, ma non solo della Chiesa, formare le coscienze. La struttura educativa non può limitarsi ad essere ripetizione di un sapere ormai passato. Ogni struttura educativa deve promuovere l’originalità di ogni singolo soggetto e questo può essere fatto solo nella misura in cui ogni singolo soggetto cresce nella propria responsabilità. Responsabile è colui che sente, in cuor suo, di non essere da solo, è capace di dare una risposta, quindi si sente in rete, in una relazione. In questo senso, lo deve fare la Chiesa, è suo compito, ma anche le agenzie educative, associative, la scuola, le stesse strutture locali devono poter essere maestre di responsabilità. Il modello principale è offerto dalla nostra testimonianza. Non ci si può accontentare di essere solo degli annunciatori, dei ripetitori di realtà, ma dobbiamo essere noi capaci di dare testimonianza di quello in cui crediamo”.

I giovani purtroppo sono allettati dai guadagni facili offerti dalla criminalità. Che fare? “Noi purtroppo siamo animali particolari, direbbe il buon maestro della psicanalisi, siamo sempre molto tentati dal principio del piacere, che ci permette di volere tutto bene e subito quello che ci piace. La crescita avviene quando io capisco che accanto a un bene appetibile e raggiungibile subito ce n’è un altro, che non è altrettanto raggiungibile subito, ma che è buono, mi fa bene, allora sono anche capace di dire: ‘Ci posso provare a non volere tutto bene e subito come dico io e a fidarmi di un bene che magari arriverà più in là’. La cultura che si è creata da trent’anni a questa parte è fatta solamente di soldi. Non possiamo buttare lo stigma tutto addosso ai giovani. Questa operazione gliel’abbiamo insegnata noi. Abbiamo bisogno di fare marcia indietro rispetto a questo”.

È stato un segnale importante la presenza del ministro Lamorgese a Foggia? “Sono sempre segnali importanti, ma qualche volta penso che potrebbero essere anche destabilizzanti per alcuni aspetti. Mi spiego: potrebbero confermare un pensiero che si è insinuato e continua a insinuarsi e cioè che le cose possono cambiare perché ce le cambiano gli altri. Quindi succedono le cose, chiamo il ministro che viene, sono contento e dopo abbiamo risolto il problema. Non è così: abbiamo bisogno di pensare che le situazioni nel Foggiano, nella Capitanata, a San Severo possono cambiare se io cittadino, chiunque io sia, mi impegno. Al di là di questo, la presenza del ministro è una cosa ottima”.

 

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