Cara maestra, ispirato dalla sua presenza professionale, sento di aprire e confidare a lei alcune mie riflessioni sul mondo della scuola, poco sviscerato dalla politica, come da sempre.
Da tempo volevo condividere con lei il mio personale punto di vista da genitore e collega con più di trent’anni di esperienza didattica nei diversi ordini di scuola. Avrà forse intuito che la mia è una visione della scuola forse utopistica, sognatrice, ma segue una stella polare, quella di don Lorenzo Milani. Da qui, da questa figura e dal libro dei suoi allievi “Lettera a una professoressa” partono le mie meditazioni, scaturite da una domanda ricorrente e scoraggiante: “Perché i ragazzi quando arrivano alle scuole superiori, hanno la nausea della scuola?” Gran parte di loro non crede nella scuola, hanno sviluppato un atteggiamento apatico e disincantato, che nasce già dalle scuole elementari, come se la scuola non avesse valore e senso nelle loro vite.
Da cosa dipende questa che sembra sempre più una crisi di senso della scuola? Troppe ore in classe, trascorse passivamente o mal distribuite? Troppi alunni nelle classi? Troppe materie da studiare non essenziali o incoerenti con gli indirizzi di studio? Troppi docenti diversi? Troppe trattazioni di argomenti e contenuti differenti, vari, astratti, spesso casuali, improvvisati, trasmessi velocemente, con estenuanti lezioni frontali?
Increscioso riconoscere le risposte, lo so bene, ma questa condizione, maestra, ci fa pensare ad una situazione di emergenza pedagogica che adesso più che mai sta diventando necessario affrontare. Troppo spesso si avverte nell’animo di bambini, ragazzi e giovani un silenzioso bisogno di giustizia pedagogica, sociale e di essere rappresentati dalla politica.
E con quali mezzi se non, in mancanza di quelli politici ed istituzionali, dei mezzi legati al buon senso, allo spirito di volontariato e alla presa di coscienza che tutti noi, adulti, educatori, abbiamo una grande responsabilità civile e pedagogica nei confronti delle nuove generazioni e che l’insegnamento, in tutti gli ordini di scuola, è una relazione di aiuto con una componente etica altissima.
Ecco, nonostante gli sforzi dei buoni insegnanti, è costretta nell’azione didattica a partire dalla teoria dei contenuti, dalle nozioni, per arrivare un giorno alla pratica. Quando sappiamo che i processi di apprendimento profondo, duraturo, seguono una via inversa, naturale, tant’è vero che il bambino impara prima a parlare e poi a scrivere. E, a tal proposito, il mio pensiero corre alle parole di Dewey, pedagogista del ‘900: “Se a un gruppo di bambini spieghi per un anno intero le tecniche del nuoto e le teorie sul Principio di Archimede, nel momento in cui li porti in piscina tutti affogano”. Quindi, i bambini devono imparare la teoria o imparare a nuotare? Cosa serve davvero sapere ai bambini? Un’età in cui la magia, la meraviglia risiede ovunque. Ma a scuola non c’è tempo per tutto il complesso processo mentale che l’apprendimento richiede, per far prima ci si accontenta della memorizzazione, di un apprendimento troppo formalizzato. E sappiamo quanto le emozioni, i sentimenti, l’esperienza, siano fondamentali nei processi di apprendimento. Vi sono urgenze che divengono prioritarie ai bisogni di tanti bambini e ragazzi, ai tempi lenti del cervello umano; non c’è tempo per una pedagogia della lumaca. E intanto le classi si riempiono di studenti medicalizzati con l’etichetta di Bes e Dsa, di bambini e ragazzi indotti a copiare con ogni mezzo nelle prove scritte, di ricorrere al doposcuola, alle lezioni private come strategie di sopravvivenza scolastica. Tutto ciò è segno chiaro, inequivocabile, di un sistema scolastico inefficace.
Il tempo accelerato che corrode le nostre vite, la cultura della prestazione, della performance, del profitto, il tempo veloce del mondo consumistico ha invaso anche la scuola, l’ha resa aziendalistica, competitiva, costringendo insegnanti, genitori, bambini e ragazzi a correre, a produrre e consumare una sovrabbondanza di contenuti, in fretta, trattando gli allievi come vasi da riempire.