A don Alfonso Cannoletta la comunità di Lizzanello deve tanto e non solo perché l'ha servita per cinquant’anni ma anche per ciò che ha rappresentato per tutti i lizzanellesi.
La sua figura, certamente controversa e al centro anche di alcune critiche è stata comunque centrale nella crescita non solo spirituale ma anche sociale e culturale di Lizzanello. Un parroco d’altri tempi, forse uno degli ultimi a vivere una comunità a 360°. Ha cresciuto generazioni, accompagnandole dal rito del battesimo a quello del matrimonio, condividendo con le famiglie gioie e dolori. Un oratore, capace di trattenere l’assemblea concentrata su di se per più di mezz’ora. Capace di commuovere attraversando le storie delle famiglie che conosceva bene, che aveva vissuto spesso in prima persona quale confidente di madri sconsolate, mogli affrante e figli orfani. Padre spirituale di politici, amministratori, sportivi, associazioni e anche di qualche “pecorella smarrita”, don Alfonso è stato per Lizzanello una figura segnante della storia della comunità, tale da aver fatto pensare all’attuale sindaco, avv. Fulvio Pedone, di intitolargli una centrale via del paese, provocando anche qualche malumore “burocratico”. Un pensiero che avrà sicuramente sfiorato la mente di altri primi cittadini.
Ripercorrendo con ordine e sintesi le tappe più importanti della sua vita, potremo scorgere i momenti più significativi che lo hanno portato ad essere la storia degli ultimi cinquant’anni di Lizzanello, perché si intreccia strettamente con quella personale di don Alfonso.
E’ il 16 gennaio 1928 quando da don Gualberto Baglivi, parroco nella piccola Acaya, viene battezzato Alfonso Cannoletta, un bambino nato il 19 gennaio dello stesso anno dal padre Carmelo Cannoletta e dalla mamma Maria Mazzeo: battezzato tre giorni prima della nascita? Un particolare che lo fa già conoscere e che lo accompagnerà tutta la vita. E’ inverno, nevica e suo padre per raggiungere il comune di Vernole e poter dichiarare il bambino, impiega tre giorni. Intanto però viene battezzato perché all’epoca battezzare un bambino il giorno stesso della nascita, significava salvare un’anima dal purgatorio. Primogenito di una famiglia di sette figli, coltiva da subito il sogno di diventare sacerdote; sogno del quale racconta ai genitori, inizialmente riluttanti per l’umile situazione economica in cui vive la famiglia, assieme a don Gualberto. L’amore per la campagna e gli animali continuerà ad essere però parte centrale della sua vita: spesso il suo ufficio odorava di terra, di cui aveva sporche le scarpe.
Così dal 13 luglio 1952, data della sua ordinazione, don Alfonso appena ventiquattrenne, vivrà la sua avventura di pastore. Subito inviato da mons. Minerva prima nella parrocchia di Santa Maria delle Grazie e poi, come vice-parroco di mons. Antonio di Lecce, a Santa Maria della Porta a Lecce. Ma ecco che nel novembre del 1955 la parrocchia di Lizzanello, vedrà il parroco don Antonio De Pandis, trasferirsi a Surbo: la scelta del vescovo infiamma gli animi del paese, che don Rosario Cisternino da vice-parroco non riesce a sedare. Sarà compito del card. De Giorgi, allora segretario del vescovo, cercare di placare i parrocchiani e annunciare il nuovo parroco: don Alfonso Cannoletta.
È l 1° gennaio 1956, nell’allora chiesa parrocchiale di San Lorenzo Nuovo e durante la celebrazione della messa si presenta don Alfonso: “Ecco io sono venuto qui a Lizzanello per stare con voi perché così ha ritenuto opportuno il vescovo mons. Minerva. Se mi volete ci resterò. Se non mi volete… ci resterò ugualmente. Per me è solo questione di obbedienza al vescovo!”.
Passano pochi anni e l’inserimento di don Alfonso a Lizzanello è completo: riesce a farsi conoscere per la sua carità, la sua disponibilità e il suo darsi concretamente da fare per i suoi parrocchiani. In più dal ‘59 insegna religione nella scuola media e contemporaneamente nella suola elementare, oltre a praticare la catechesi in parrocchia, con un folto numero di catechisti. Ma l’opera più grande a cui si attribuisce il suo nome in parrocchia, è certamente il motivo per cui si celebrano in queste ore i cinquant’anni dalla dedicazione: la nuova chiesa parrocchiale. L’intuizione di don Alfonso di un nuovo ovile, capace di accogliere tutti i parrocchiani che in poco meno di vent’anni sono raddoppiati, è una sfida molto importante che lo costringe a impegnare economicamente la parrocchia (e la sua persona) per molti anni: “Le cambiali non mi spaventano – amerà ripetere – anzi mi poteggono. Infatti un giorno, stando in una falegnameria di Calimera, improvvisamente dalla motosega sfugge un pezzo di legno che con violenza mi colpisce il petto e solo un pacco di cambiali, nella tasca interna della tonaca, impedisce a quel proiettile di colpirmi al cuore!
Ancora si potrebbe parlare del restauro della chiesa di San Lorenzo, sfidando la burocrazia e al limite della legalità, sostenendo ed incoraggiando un gruppo di volontari che lavoreranno giorno e notte per concludere l’opera, restituendo alla comunità quello che per secoli era stato il fulcro della fede della comunità stessa. La sua missione però si spinge anche fuori della parrocchia, più precisamente sul mare, a San Foca: qui darà vita alla “Colonia marina Pio XII”, spazio principalmente dedicato ai bambini, i più poveri. Spazio che di lì a breve diventerà motivo d’interesse nazionale, quando con l’esodo albanese il Salento e anche la sua colonia, diventeranno protagonisti di una accoglienza fuori dal comune. Donata alla diocesi, nel 1997 diventerà “Centro di prima accoglienza Regina Pacis”, segno di fraternità alla diocesi di Lecce.
Riassumere cinquant’anni in queste righe sarebbe impossibile e sicuramente per l’importanza della figura di don Alfonso Cannoletta per la comunità lizzanellese, sarebbe anche una mancanza di rispetto . Una sua frase però, racchiude al meglio questo rapporto lungo quarantotto anni, rilasciata a Gianfranco Lattante ora capo redattore della sede di Lecce della Gazzetta del Mezzogiorno, in un’ intervista in occasione del suo cinquantesimo anniversario di sacerdozio, nell’ormai lontano 2002: “La gente di Lizzanello mi ha insegnato principalmente lo spirito di sacrificio, la semplicità, l’umiltà. Ormai sono nel mio bagaglio. D’altronde non è un caso che si dica: don Alfonso è Lizzanello, Lizzanello è don Alfonso.”