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Un’autentica civitas antoniana. È questa l’immagine di Monteroni che questa mattina ha salutato le reliquie di Sant’Antonio, ripartite per Padova. Il paese ha vissuto uno dei momenti più attesi della festa patronale nella giornata di domenica scorsa con la solenne processione.

Lo splendido simulacro argenteo del santo è stato condotto eccezionalmente a spalla ma il corteo religioso ha visto anche la presenza delle insigni reliquie giunte dal Veneto. Il sogno dei devoti monteronesi è così divenuto realtà: Sant’Antonio ha davvero attraversato le vie del loro comune. E, senza dubbio, ha parlato al cuore dei suoi figli.

Il monaco lusitano, oltre che un grande taumaturgo, è infatti uno dei più alti predicatori che la storia cristiana ricordi. Non per nulla venne definito da Pio XII con il titolo di “Dottore evangelico”. Com’è noto, i santi continuano a testimoniare Cristo e ad annunciare la salvezza venuta da Dio, anche dopo la loro morte, attraverso le sacre reliquie. In Antonio ciò è particolarmente evidente. Era il 1263 quando, durante la ricognizione dei suoi resti mortali, San Bonaventura notò che la lingua del mistico portoghese si era conservata intatta. In tempi a noi più prossimi, nel 1981, ad una nuova apertura del sepolcro, ci si accorse invece che l’intero apparato fonetico risultava integro. Quella lingua, quelle corde vocali che tanto avevano predicato il Vangelo, esaltato la gloria del Salvatore, annunciato il regno dei cieli, fustigato i soprusi dei potenti non avevano conosciuto la corruzione della tomba che, essendo conseguenza del peccato di Adamo, accomuna l’umanità intera, eccetto la Vergine Immacolata. Un tale segno fu permesso dal cielo per far comprendere come il santo avrebbe continuato a parlare di Dio in ogni epoca. Anche nella nostra, proprio come avvenuto a Monteroni.

Certo, poi sta ai fedeli saper udire, schiudere l’anima alle parole celesti. Ma siamo convinti che tanti monteronesi abbiano sul serio ascoltato la voce del loro protettore che li chiamava a raccolta per adorare con lui l’eucarestia. Ne è prova l’affluenza del popolo all’adorazione notturna guidata dal parroco, don Giuseppe Spedicato, al termine del corteo processionale. Dalle fonti sappiamo quanto ardente fosse lo zelo di Sant’Antonio verso il mistero eucaristico.

È celebre il miracolo di Rimini del 1223 che vide il santo come protagonista. Nella città romagnola, Antonio venne pubblicamente sfidato dall’eretico Bonovillo che negava la presenza reale di Cristo nelle sacre specie. Egli avrebbe fatto digiunare per tre giorni la propria mula. Poi, conducendola in piazza, le avrebbe posto dinanzi della biada. Nello stesso tempo, Antonio si sarebbe dovuto presentare con l’ostensorio: se l’animale avesse trascurato il foraggio per volgersi alla particola, Bonovillo avrebbe creduto. La mattina convenuta Antonio, dopo aver celebrato la Messa, venne portando solennemente una particola consacrata. Subito la mula, tra lo stupore di tutti, lasciando da parte il fieno, si pose in ginocchio di fronte all’ostensorio e l’eretico si convertì. Quest’episodio ebbe una vasta eco nell’arte ed a Rimini, nel luogo dove avvenne, sorge un tempietto cinquecentesco, opera del Bramante, per tramandarne la memoria. La presenza dei monteronesi al fianco del santo all’adorazione voluta dal parroco è molto significativa e può essere considerata il seguito della storia. Oggi, ancor più che nel XIII sec., il mistero eucaristico è negato, misconosciuto, addirittura oltraggiato e dunque l’amore e la devozione dei buoni fedeli verso il Sacramento hanno da essere sempre più profondi. Questo renderà ben felice Antonio. Dopo tutto, un suo devoto come San Pio da Pietrelcina insegnava che il mondo potrebbe stare anche senza sole ma non senza l’eucarestia.        

 

 

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