Don Gianni Ratta, parroco della comunità della Madonna della Fiducia in Giorgilorio festeggia il 25° anniversario di sacerdozio di don Gianni Ratta. Questa sera 31 ottobre, alle 19, l’arcivescovo Michele Seccia, presiederà nella chiesa parrocchiale della frazione di Surbo, la solenne celebrazione eucaristica giubilare. Per l’occasione, don Gianni prova a fare un bilancio del suo ministero rispondendo alle domande di Portalecce.
Don Gianni, i bilanci li fa il Signore, ma anche gli uomini: se dovessi fare tu un bilancio di questi primi 25 anni del tuo sacerdozio cosa diresti?
Una domanda non semplice… In tutti questi anni, trascorsi in maniera bella, veloce, intensa, con alti e bassi, un testimone mi ha accompagnato sempre ed è l’incipit del libro dei “Racconti di un Pellegrino Russo”: “Per misericordia e grazia di Dio sono uomo e cristiano, per opere gran peccatore, per vocazione pellegrino senza dimora, del ceto più umile, che va forestiero di luogo in luogo. I miei averi sono una bisaccia di pane sulle spalle, e nel petto la Sacra Bibbia, ecco tutto”. Quell’ “ecco tutto” può sembrare quasi un modo con cui l’autore pone fine con effetto ad una frase, ma per me hanno significato davvero tanto. Mi hanno aiutato a comprendere l’essenzialità dell’essere uomo e cristiano che in modo particolare è stato amato dal Signore per essere stato scelto, nonostante le grandi precarietà e limiti, ad essere ministro e testimone del suo Vangelo, nel dono del sacerdozio ministeriale. La Bibbia ed il pane sono in questo caso i pilastri di una vita sacerdotale che è chiamata quotidianamente ad immergersi nel Vangelo e nell’Eucaristia.
In questi 25 anni quale è l'esperienza che ti ha reso più felice di essere sacerdote?
Sarebbe limitante parlare di una sola esperienza… Ogni persona incontrata mi ha davvero donato tanto e questo non per essere buonisti. Ogni persona, ogni comunità, il servizio in diocesi, mi ha aiutato, nel confronto e nella condivisione, a far maturare il mio essere prete. Il giorno della mia ordinazione, 31 ottobre 1999, nella parrocchia di San Michele Arcangelo in Trepuzzi, il mio parroco, don Antonio Pellegrino, sacerdote per 73 anni, mi sussurrò una frase e un augurio che non ho mai dimenticato: “Dio nel cuore ed il popolo attorno!”. Ecco, posso affermare con verità che se in ogni esperienza fatta e in ogni persona incontrata ho cercato di vivere questo augurio tutto è stato sempre più semplice, più bello e più fecondo.
C'è qualcuno che ti porti particolarmente nel cuore della tua formazione o dei tuoi primi anni di sacerdozio che ti ha accompagnato fino ad oggi?
Innanzitutto, il mio parroco di origine, don Antonio Pellegrino, come detto prima, poi i sacerdoti, se pur diversi, che mi hanno accompagnato all’inizio della vita presbiterale: non posso non ricordare l’amato mons. Vito de Grisantis, parroco di Santa Rosa in Lecce, che mi ha accolto con amabilità e paternità da accolito e con lui sono diventato diacono e presbitero. Mi ha voluto accanto come suo vicario parrocchiale sino alla sua nomina a vescovo e con fermezza mi ha “insegnato” ad essere prete. Così come stare accanto al suo successore, don Antonio Montinaro e poi a don Pierino Liquori nella comunità di San Lazzaro e a don Flavio de Pascali nella comunità di Sant’Andrea in Novoli. Ognuno di questi sacerdoti mi ha insegnato tanto, ma anche tanti amici sacerdoti, alcuni confidenti, mi hanno accompagnato e accompagnano ancora oggi; così come tanti laici, uomini e donne, con cui si è condiviso non solo l’essere prete, ma anche la bellezza dell’umanità. Mi sento ricco di tante belle relazioni, non mi sento solo…e tutto è davvero grazia! Li anni di viceparrocato sono stati poi arricchiti anche da una bella esperienza di servizio come assistente nell’Acr e nell’Acg diocesane e come collaboratore nella formazione dell’Agesci. Davvero tanti doni.
Per ciascuna parrocchia che hai guidato quale ricordo porti particolarmente nel cuore?
Tre le parrocchie che sono stato chiamato a servire come parroco, tre le comunità, molto diverse tra di esse che il Signore mi ha chiesto indegnamente di guidare. Sono al diciottesimo anno di parrocato… In primis la comunità di Sant’ Antonio Abate in Carmiano per 11 anni: sono arrivato lì che avevo solo 33 anni, un po' inesperto, ma con tanta grinta, gioia e passione. Una comunità che davvero mi ha dato tanto e mi ha insegnato a fare il parroco; una comunità con cui si è lavorato tanto e sempre disponibile a mettersi in gioco ed a crescere nella fede, nella conoscenza del Signore e nella condivisione. Poi la comunità di Villa Convento, piccola ma fervorosa. Dove ho anche portato a termine gli studi in Teologia Missionaria andando su e giù da Roma e dove si è vissuto il dramma della pandemia. Sono stato solo quattro anni, di cui uno e mezzo di pandemia, ma ho gustato la bellezza dell’essere famiglia, dove tutti ci si conosce, nel bene e nel male, e dove è più immediato anche aiutarsi nel realizzare il cammino pastorale quotidiano. Infine, per ora, da poco più di due anni, la comunità Madonna della Fiducia in Giorgilorio. Una comunità poliedrica, giovane, in continuo cambiamento per alcuni versi, ma desiderosa, pur con tante difficoltà, a osare, a crescere e a costruire giorno per giorno una propria identità. Una comunità dove essere missionari e portare l’annuncio del Vangelo come priorità, lo si può sperimentare tutti i giorni. Non ho mai scelto le comunità dove andare, non le avrei scelte… mi sono fidato, questo si, e sono contento di averlo fatto. E con sincerità e affetto dico “grazie” a tutte e tre e porto tutti nel cuore, un cuore che si allarga sempre più, per cercare di accogliere sempre più.
Da pochissimo hai lasciato l'esperienza dell'Ufficio diocesano missionario: che cosa ti senti di portare con te di quella esperienza?
Grande dono gli undici anni nel Centro missionario diocesano. Tante le esperienze vissute insieme con l’equipe, che sempre ringrazierò, non solo in terra di Africa ed Albania, ma anche qui in diocesi, soprattutto nella bellissima chiesetta di Sant’Elisabetta nel centro storico. L’essere a servizio della missione e dell’evangelizzazione ha dato una svolta ed un cambiamento al mio sacerdozio: mi ha allargato la mente, ma soprattutto il cuore. Mi ha fatto incontrare tanti volti di persone desiderose di accogliere Cristo nella propria vita. Mi ha spinto ad approfondire gli studi sulla missiologia nella facoltà dell’Università Urbaniana in Roma. Ha dato ancor più valore all’Eucaristia, dalla quale parte ogni annuncio. Mi ricorda, tutti i giorni, che essere preti significa innanzitutto essere missionari, lì dove vivi ogni giorno, perché come direbbe San Paolo VI, “La Chiesa è per sua natura missionaria, nasce dalla missione e vive per evangelizzare”. Grazie, pregate per me e che io possa continuare a dire ancora: “Per loro consacro me stesso!” (Gv 17,19).