«Non si può parlare di don Arcangelo Giordano (LEGGI) senza parlare della “sua creatura”: la parrocchia della Santa Famiglia.
È il ricordo di Maria Pia Metrangolo, per anni catechista dell’Addolorata prima e della Santa Famiglia poi, che insieme a don Arcangelo curava la formazione delle diverse generazioni di giovani. «Voleva che tutti potessero manifestare al meglio i loro carismi e li mettessero al servizio della parrocchia, ecco perché costituì in essa vari gruppi e lui, in modo discreto e instancabile, li seguiva tutti. Come dimenticare la sua figura, sul sagrato della Chiesa, che salutava bambini e fanciulli al termine della catechesi e il sorridente saluto ai giovani riuniti in canonica prima di ritirarsi a casa con l’immancabile raccomandazione: “Mi raccomando, chiudete bene!”. E se in chiesa sentiva piangere dei bambini non voleva assolutamente che si allontanassero, diceva che erano la musica più bella e guai a rimproverare i piccoli che correvano o saltavano sull’altare, per lui erano uno spettacolo per il Signore. Era una parrocchia giovane e lui, con amore di Padre e di Madre, l’ha presa per mano e l’ha aiutata a crescere e a superare le inevitabili iniziali difficoltà, ma sempre con l’entusiasmo tipico del discepolo cristiano».
Anche i ragazzi e i giovani di quegli anni hanno vissuto questi giorni nel segno della tristezza per la perdita del parroco che li ha battezzati e condotti alla vita di fede e di impegno ecclesiale. «Umile, semplice, sempre sorridente, accogliente con noi giovani, con cui amava scherzare e trascorrere del tempo uomo di profonda spiritualità, zelante nel suo ministero di parroco, sempre pronto e disponibile ad ascoltare le confessioni o semplicemente a dare dei consigli o dire delle parole di conforto. Una fede semplice, come quella dei bambini, che gli volevano tanto bene. Indimenticabile la sua frase ricorrente ad ogni battesimo: “I bambini si possono avvicinare al fonte se vogliono vedere meglio”; una fede capace di raggiungere i cuori di coloro che lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene.» Sono le parole commosse di Giacomo Pezzuto, giovane seminarista studente presso il Pontificio seminario maggiore di Molfetta. «Don Arcangelo è stato un esempio per tutti, anche e soprattutto negli ultimi anni della malattia, che lo ha provato duramente nel fisico, ma che non è mai riuscita a strappargli via il sorriso dal volto o a gettarlo nello sconforto. Ripeteva spesso, infatti, che offriva le sue sofferenze al Signore e, durante le ore che trascorreva più volte a settimana in ospedale, non mancava mai di essere vicino agli altri ammalati.»
Leonardo Miglietta, giovane educatore di Ac, ricorda affettuosamente come «La sua figura imponente infondeva in noi ragazzini del catechismo un certo timore reverenziale, ma lasciava trasparire anche la sua dolcezza, la sua mitezza. Le sue omelie e i suoi discorsi erano spesso infarciti di aneddoti. Ci raccontava della sua infanzia, trascorsa con tanti sacrifici in una famiglia umile, e del periodo trascorso come parroco nel Lazio. E come dimenticare le sue “lezioni” sulla Sacra Sindone. Proprio come un professore, esponeva davanti alle classi di catechismo tutte le nozioni riguardanti il sacro lenzuolo. Nei suoi ultimi anni da parroco, io ero da poco entrato a far parte dell'Azione cattolica, all'età di quattordici anni, e se ne sono ancora membro è anche grazie al suo supporto costante e ai suoi preziosi consigli».