Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori! Qui a Lecce viveva una persona nota come La Mara, trans, da un certo un modello di stile di vita, ripudiato dai suoi parenti.
Con l’avanzare degli anni le malattie presero il sopravvento ed ovviamente si trovò solo ed incapace di provvedere a se stesso. Le uniche persone che si presero cura di lui furono le monache Benedettine che con l’amore che le contraddistingue, se ne presero cura fino alla morte e forse fu per gratitudine o per riscatto, ma a me piace pensare che in fondo anche lui era un uomo buono, lasciò loro immobili vari e molto denaro che venne poi usato per ristrutturare gli immobili.
Con questo lascito e per un’intuizione dell’arcivescovo emerito mons. Domenico D’Ambrosio, in sinergia con la Caritas diocesana, nasce la Casa della Carità che nel tempo è diventata un vero e proprio punto di riferimento, non solo diocesano, per l’attività di contrasto alla povertà grave ed all’inclusione sociale.
Non ci si occupa solo dei bisogni primari come, fornire un tetto, dare pasti regolari, vestire e provvedere ai servizi di pulizia, ma della persona nella sua complessità e con tutte le necessità e bisogni, con presa in carico nella sua totalità, mediante supporti reali e concreti che si sviluppano nei vari progetti. E qui il futuro di questa benedetta e bella Casa “nel mezzo”.
Di questo, cominciamo a parlare con Simona Abate, coordinatrice e responsabile delle strutture esistenti, a sua volta affiancata dal suo braccio destro il diacono Mario Renna dal quale ci faremo raccontare in seguito del significato intimo del diaconato in una struttura come la Casa della Carità.
La progettazione è il futuro della Casa, motivo per cui accanto a Simona e Mario ruotano professionisti di supporto come psicologi, medici, avvocati e quanti servono per pianificare e strutturare strategie di intervento sociale efficaci.
Ritorniamo a Simona, nota a tutti, per la semplicità che la contraddistingue, alla quale abbiamo chiesto quali e quanti sono i progetti futuri.
Permettetemi una piccola digressione personale, conoscendo Simona posso dire che con il suo esempio mi ha insegnato a credere nei sogni per il semplice motivo che con la sua energia lei i sogni li realizza.
Parliamo quindi di progetti per il futuro perché non ci si ferma, ma si va avanti con traguardi più ambiziosi soprattutto quando si ha a che fare con il bene da perseguire.
Per questo motivo la partecipazione ad incontri, convegni, simposi sia in Italia che all’estero fa si che nuove idee vengano elaborate in sede locale.
Il primo, quello più urgente, quello tanto impegnativo, quasi da non far dormire la notte per riuscire a realizzarlo: l’Housing First, l’autonomia abitativa per ricollocare la persona pienamente tale al centro della società. Per questo il mese scorso in un incontro con il Ministro delle politiche sociali, accanto ad una federazione internazionale che si occupa di politica di “Social Housing” la Casa della Carità di Lecce ha ottenuto un primo traguardo: realizzare in Puglia un incontro di formazione che si terrà a Bari il 23 gennaio prossimo.
L’Housing first è un protocollo di inserimento abitativo, di ispirazione americana, che si sposa bene con le esigenze del nostro territorio. Si sta cercando possibili alloggi dove creare moduli abitativi con abbattimento di canoni di affitto, molto alti per gli indigenti della nostra città, e annesse strategie per accompagnare le persone lungo il percorso verso l’autonomia, con strumenti di contenimento alla devianza vincenti, quali la cultura e l’accompagnamento al lavoro.
Pertanto, per mettere le persone nella libertà di scegliere i protocolli di un possibile Housing First, agli ospiti che passano dai nostri centri di prima emergenza, si offrono possibilità di stimolo della volontà; all’inizio si era creduto che chi arrivava alla Casa della Carità avesse già in sé voglia di essere indipendente, mentre l’esperienza insegna che la volontà soccombe dinanzi all’ingombro psicologico e sociale del problema grave della sussistenza fisica e il rischio è che la situazione di disagio, a causa di una volontà debole, possa cronicizzarsi.
Ecco perché l’assistenza diventa inclusione e non assistenzialismo, ecco perchè i percorsi di ospitalità si allungano nei centri di prima emergenza della Casa della Carità di Lecce: si ha bisogno di tempo per aiutare la volontà dei senza fissa dimora ad uscire dal disagio e diventare esplicita, per progettare assieme alla persona stessa l’autonomia abitativa.
Si è solo all’inizio. Ma anche i sogni hanno sempre un inizio e mai una fine. Un finale però ci dovrà essere: eternare l’autonomia di tanti che sono stanchi di non sentirsi pienamente uomini.