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«Una Chiesa clericale attirerà vocazioni (preti, religiosi e religiose, laici) clericali. Una Chiesa sinodale attirerà vocazioni in consonanza con uno stile sinodale, fatto di apertura e di discernimento del proprio presente».

 

 

 

Con queste parole si apre un articolo di Giuseppe Guglielmi, dal titolo “Revisione dei seminari? Prima la riforma del prete”, apparso nei giorni scorsi su settimananews.it, il settimanale online dei Dehoniani.

La frase è di don Francesco Zaccaria, teologo pastoralista della Facoltà Teologica Pugliese, che nei prossimi giorni sarà a Lecce per parlare di conversione pastorale delle parrocchie, il terzo giorno del Convegno diocesano (LEGGI), una frase pronunciata in un recente intervento nell’ambito della Piccola Scuola di Sinodalità, organizzata dalla Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII di Bologna.

Scrive Guglielmi: “Molti si attendono dalla formazione dei futuri presbiteri la soluzione di quasi tutti i problemi legati alla figura del prete. In questa visione, il seminarista è pensato come un pupazzo con una corda dietro le spalle. Il pupazzo camminerà speditamente (il seminarista sarà in futuro un bravo prete), se gli sarà stata girata bene la corda (avrà avuto una buona formazione)”.

“So che le cose - prosegue l’articolo - sono un tantino più complesse di come le ho forzatamente descritte, ma alla fine i desiderata che si annidano dietro le discussioni ecclesiali sul prete, spessissimo giungono a questa conclusione. In realtà, penso che la formazione conta quello conta. Non possiamo infatti far dipendere le lamentele sul ministero del prete quasi unicamente dal seminario (come se fosse una sorta di peccato originale)”.

“Ho sempre pensato che il problema della formazione/seminario sia solo un aspetto di un problema molto più profondo e che lo precede. Lo potrei formulare con questa espressione un po’ grossolana, ma che serve a rendere l’idea: «dimmi che prete e (ancora ancora prima) che Chiesa vuoi, e ti dirò che formazione/seminario avrai»”.

“Il problema va, dunque, preso nella sua ampiezza, senza limitarlo a quello che può diventare, a seconda dei casi, il capro espiatorio o la chiave risolutiva di tutti i problemi: vale a dire la formazione nei seminari. A fianco dei seminari, come chiave risolutiva, si pensa anche all’inserimento di alcuni corsi di teologia che dovrebbero far fronte a determinate carenze formative”.

“Ma dirò di più. Ci sono seminaristi che, proprio per assumere da subito uno stile clericale e avere una vita molto più «libera», vale a dire meno vincolata ad orari, meno propensa a confronti alla pari tra compagni di formazione (magari di contesti ecclesiali diversi dal proprio), meno dedita all’impegno dello studio, volentieri sottoscriverebbero la posizione di chi, proprio per far fronte al clericalismo, vorrebbe abolire o rivedere i seminari (durata della permanenza ecc.).

Ci troveremmo in pratica con una situazione ancora più grave di quella attuale. Oggi, con tutti i limiti e le difficoltà del caso, ci sono anche seminari (e dunque programmi formativi) che impostano l’accompagnamento dei candidati al sacerdozio cercando di contrastare o perlomeno di problematizzare la figura del prete così come la si è percepita e vissuta in regime di cristianità”.

“Se, nel futuro - aggiunge Guglielmi -, i seminari dovessero essere chiusi o rivisti, senza tuttavia una previa riforma del ministero sacerdotale ad ampio raggio (potere, celibato, visione sacrale ecc), correremo il rischio di avere seminaristi e futuri presbiteri ancora più clericali, narcisisti e poco motivati nello studio, di quanti ne possiamo avere oggi. Sul tema dello studio e, più in generale, dell’interesse dei nostri studenti per la teologia (non solo seminaristi), bisognerebbe aprire un capitolo a parte. Di certo il modello di prete “tuttofare”, che in genere il seminarista ha come metro di misura, non lo invoglia a un’attenzione al discorso intellettuale/culturale. Questo impegno richiede, infatti, altri codici comportamentali di riferimento. Con una buona dote di sarcasmo, mi viene perciò da dire che attualmente, dovendo stare in seminario, un seminarista non può non dedicare un po’ di tempo allo studio, fosse solo perché la data degli esami si avvicina. Sono consapevole che si tratta di una magra consolazione. Ma ho preso questo esempio solo per rendere più concreto il discorso che lega riforma del ministero e (solo dopo come sua legittima conseguenza) revisione della formazione al sacerdozio”.

“Ancora - conclude -, se non si mette a tema la revisione profonda del ministero sacerdotale, avremo strutture formative certo più snelle e (almeno in teoria) più riferite alla vita quotidiana, ma la precomprensione attraverso cui i seminaristi assumeranno vita sarà pur sempre clericale. In una parola, avremo sempre gli stessi problemi”.

 

Forum Famiglie Puglia