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Il giovedì santo costituisce l’inizio del Triduo, il prologo, la porta d’ingresso. Di per sé non fa parte del Triduo pasquale in senso stretto, ma è il suo proemio.

 

 

Fare memoria

La tradizione della messa in “Coena Domini”: intende far memoria di ciò che Gesù fece prima di affrontare la sua passione e morte: nel contesto di una cena pasquale Gesù fece del pane e del vino i segni perenni e reali del suo corpo donato e del suo sangue versato. Egli anticipò, cioè, nei segni del pane e del vino, istituendo il sacramento dell’Eucaristia, ciò che avrebbe compiuto nei giorni seguenti attraverso la sua passione, morte e resurrezione. Il giovedì santo, dunque, si pone come preludio, cioè annuncio globale e sacramentale di ciò che sarà celebrato separatamente e progressivamente nei tre giorni del venerdì, sabato e domenica. Ciò che il triduo celebra in tre giorni distinti, la Cena del giovedì santo lo presenta in sintesi e condensato nel sacramento. Mentre il Triduo presenta la realtà del mistero pasquale unico e mistico nella sua dimensione storica, il giovedì santo lo trasmette nella sua dimensione rituale. Tra i diversi elementi che compongono la celebrazione della Messa in Cena Domini, ci soffermiamo solo su alcuni per evidenziare certi aspetti che ci aiutino a cogliere in profondità il senso di quanto celebrato.

 

Il Messale di Paolo VI

Il Messale di Paolo VI dà all’Eucaristia della sera del giovedì santo un triplice carattere:

- festivo: cioè solenne, utilizzando i paramenti bianchi, colore pasquale, si canta il solennemente il Gloria, si suonano le campane a festa, uso degli strumenti musicali, luci, fiori ecc.;

- unitario: cioè nelle parrocchie viene celebra una sola messa per tutta la comunità;

- comunitario: la messa è celebrata per una piena partecipazione di tutta la comunità locale, per cui sono proibite le messa senza popolo o celebrazioni per piccoli gruppi, mettendo in evidenza che l’Eucaristia è sacramento di comunione e di unità ecclesiale.

 

Tabernacolo vuoto

Prima della celebrazione eucaristica il tabernacolo deve essere vuoto. Si tratta di una significativa e originaria prassi della Chiesa che mette in evidenza come messa e comunione eucaristica sono intimamente unite e non possono essere separate. Ovvero, la celebrazione eucaristica, in quanto cena pasquale, è in funzione della comunione e della condivisione del pane, per cui la comunione dei fedeli è la normale conclusione di ogni celebrazione eucaristica. Del resto, la conservazione stessa del pane consacrato non si è instaurata principalmente per la comunione fuori della messa e neppure per l’adorazione, ma per portare il viatico ai moribondi. La distribuzione della comunione e l’adorazione sono scopi secondari. Il giovedì santo, dunque, attraverso la celebrazione eucaristica comunica veramente ciò che Gesù volle istituire quando nell’ultima cena spezzò il pane e lo diede ai suoi discepoli...

 

La lavanda dei piedi

Significativo ed eloquente è il rito della «Lavanda dei piedi» (fino a che il Covid lo ha permesso) che in questo giorno la Chiesa attua nella sua liturgia, a significare che senza la carità ogni sacramento perde di senso e di efficacia, a dire che la celebrazione non può rimanere un fatto chiuso nelle mura del tempio sacro, ma deve essere prolungata nel vissuto quotidiano. Questo gesto condensa ed esprime il ricco contenuto proclamato nella liturgia della Parola ed attuato in quella eucaristica: cioè il mutuo servizio esercitato nell’umiltà e nella carità. Non si tratta semplicemente di una rappresentazione teatrale, scenica e sentimentale, ma la lavanda dei piedi deve essere un gesto simbolico e profetico, deve esprimere cioè il desiderio di una Chiesa che, sull’esempio del suo Maestro intende farsi serva.

 

L’adorazione eucaristica

Al termine della messa, la liturgia del giovedì santo fa seguire l’adorazione eucaristica. Le norme liturgiche ribadiscono che il Santissimo Sacramento venga custodito in un tabernacolo chiuso o in una custodia che non deve avere la forma di un sepolcro. Infatti, la cappella della reposizione viene allestita non per rappresentare la “sepoltura del Signore”, ma per custodire il pane eucaristico, segno sacramentale del Signore vivo, per la comunione che verrà distribuita il venerdì nella passione del Signore. Va da sé che nell’organizzare il luogo della reposizione bisogna assicurare la centralità dell’Eucaristia evitando l’inserimento di simboli che distraggono e disorientano l’attenzione al Cristo presente nell’Eucaristia. In questo ci vuole molta sobrietà e gusto! Un’altra particolarità della celebrazione del giovedì santo è la conclusione della celebrazione che è del tutto insolita. Dopo la processione al luogo della reposizione, l’assemblea si scioglie senza alcun esplicito congedo. Non c’è una benedizione e non c’è un congedo dell’assemblea da parte del sacerdote. È questa una caratteristica che ci fa capire meglio l’unità intrinseca del triduo pasquale. É come se la comunità cristiana fosse in permanente stato di convocazione alle più importanti celebrazioni dell’anno liturgico. Il congedo sarà pronunciato dal sacerdote solo al termine della celebrazione eucaristica della veglia pasquale, quando esso sarà fatto solennemente, accompagnato dall’Alleluia.

 

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