Caterina Accettura, classe 1972, di Lecce. Laurea in Medicina e Chirurgia con tesi sperimentale in Oncologia medica. Una passione che l’ha accompagnata sin da piccola: “Fin dalla mia infanzia ho considerato la professione medica la più bella e la più emozionante, ritenendo il medico una persona privilegiata per il suo compito nella società”.
Un percorso duro e difficoltoso, ma l’amore per questa professione è stato sempre il compagno di viaggio: “L’idea che anch’io potessi intraprendere questa strada mi sembrava impossibile, in quanto troppo lunga e difficile per me”. Un sogno che si è realizzato “grazie all’impegno e alle persone care che mi hanno aiutato e creduto in me, sono diventata un medico”.
Abilitazione alla professione medica nel 1997 e specializzazione in Oncologia Medica con 70/70 presso la 1a Scuola di specializzazione in Oncologia medica dell’Università di Roma “La Sapienza”. Dal 2007 in servizio come dirigente medico presso UO di Oncologia dell’Ospedale “Vito Fazzi” di Lecce.
Una vita in corsia a contatto con i pazienti. Non numeri, ma persone verso le quali mettere a disposizione la propria professionalità, ma anche la propria sensibilità di donna e di medico. Un’umanità aperta al prossimo, che condivide le paure e le ansie di chi soffre: “ Ho la possibilità ogni giorno di aiutare gli altri attraverso le mie conoscenze e la mia esperienza, offrendo dei possibili percorsi e soluzioni e, quando non è possibile, alleviare e condividere la sofferenza”.
Una relazione col paziente fondata sulla stima e la fiducia nel medico, come persona e professionista, che diventa punto di riferimento nei momenti più bui della malattia: “La condivisione diventa il punto di forza per prendersi cura di chi si è affidata a te in un momento cruciale della sua vita. Il rapporto tra medico e paziente è unico e profondo. Come donna mi ritengo fortunata di poter esercitare la professione medica, senza mai dimenticare il forte senso di responsabilità e la coscienza che accompagna questo servizio”.
L’oncologo incontra ogni giorno lo sguardo di tante persone, che chiedono aiuto e conforto. Non sempre, purtroppo, ci sono soluzioni.
Non una storia di privilegi e titoli, ma la professione medica vissuta come una missione: “La mia è una storia come tante altre. Ogni paziente, e quindi ogni caso che ho affrontato, ogni successo o insuccesso, ha lasciato in me una traccia indelebile: un’opportunità di crescita che, che rende più profondo, paziente dopo paziente, il senso di umanità e il rispetto e l’amore per la vita”.
Un medico, una donna, per molti un volto amico, che accompagna in una dura battaglia. Un sorriso che dà speranza, una mano che dà conforto, una sensibilità che dà sollievo.
Così come dal discorso di Paolo VI al Comitato promotore della “Giornata del medico” del 18 ottobre del 1969: “E precisamente la professione del medico è consacrata al servizio di coloro che soffrono. La dignità e la responsabilità di una tale vocazione non sarà mai sufficientemente compresa e approfondita. Assistere, curare, confortare, guarire il dolore umano, è una missione che per nobiltà, per utilità, per idealità è la più vicina a quella del Sacerdote: con la missione del Sacerdote, quella del medico è l’attività che più merita le benedizioni di Dio, perché porta alla sua più alta espressione il volto dell’amore. Giova, pertanto, ricordare a questo riguardo la parola dello Spirito Santo che nel libro dei Proverbi ammonisce: «Onora il medico, a motivo del tuo bisogno; perché è il Signore che l’ha creato. Dall’Altissimo infatti viene ogni guarigione» (Prov. 38, 1-3)”.