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Parlare con la signora Maria Miglietta di Squinzano significa ripercorrere un viaggio lungo più di 8 decenni. Una donna che ha amato riempire la sua vita cercando sempre di cogliere tutte le occasioni che Dio le poneva dinanzi per arricchirla.

Un’esemplarità che lei minimizza sin dall’inizio della nostra chiacchierata: “Ho fatto il mio semplice dovere di donna.”

Dopo essersi diplomata in ragioneria, i genitori non le consentirono di andare all’università perché si sarebbe dovuta spostare da sola almeno fino a Bari (inammissibile per l’epoca) se non addirittura fino a Napoli o Venezia, vista la sua passione per le lingue e la collocazione delle facoltà in quegli anni. Si abilitò quindi per l’insegnamento in calligrafia, stenografia e dattilografia e iniziò la sua carriera nella scuola. Si avvicinò poi, negli anni ’60, all’Unitalsi grazie al suo incontro con l’allora cappellano del “Vito Fazzi” e il suo primo incarico fu quello di dama. Fu lo stesso sacerdote che poi la convinse ad entrare in Croce Rossa in modo da poter avere una preparazione infermieristica. “È stata un’esperienza che non potrò mai dimenticare. È il cuore che ti permette di diventare un bravo medico o una brava infermiera. È il cuore che comanda e poi bisogna sempre fidarsi di Lui.

Mia madre fu entusiasta del mio ingresso prima in Unitalsi e poi in Croce Rossa e io, figlia unica, in questo modo ho avuto l’opportunità di essere chiamata sorella. Per me la Croce Rossa è stata la mia famiglia e ho sentito tutte le mie sorelle molto vicine un paio d’anni fa, quando ho avuto un serio problema di salute.

Vivere con gli ammalati è un dono. Si lavora tantissimo, ma un loro sorriso ti ripaga di tutto.”

Anni pieni per la signora Maria che conciliava il lavoro a scuola, quello in ospedale e la cura della mamma malata. “In Croce Rossa ho ricoperto anche incarichi di responsabilità e ho avuto la possibilità di essere in prima linea durante delle emergenze come, per esempio, il terremoto in Irpinia, in cui dovevamo prenderci cura degli anziani che vivevano nei container. In quel periodo ebbi modo di incontrare il ministro Emilio Colombo che venne a farci visita e, poiché in quei giorni, era il compleanno di una sorella, ci chiese se avremmo gradito un regalo. Risposi che sarebbe stato molto bello poter donare una televisione agli anziani e questa ci fu effettivamente consegnata in serata.”

Solo per un soffio non andò a Beirut nei primi anni ’80 perché, pur essendo stata allertata, al suo arrivo a Roma la avvisarono che il contingente italiano era di ritorno e quindi non era più necessaria la sua partenza. “Sarei andata e avrei fatto il mio dovere, ma non posso negare la paura che provai pensando di dovermi recare in zona di guerra.”

Attualmente è ancora membro della Croce Rossa, ma la sua indole altruistica, la spinge a fare del bene anche al di fuori dell’ospedale o degli incarichi assegnatigli. Da tanto infatti è sua abitudine trascorrere il Natale invitando a pranzo coloro che hanno bisogno, barboni, immigrati, persone in gravi difficoltà. Descrive questo suo gesto con semplicità: “Non ho una famiglia, ma a Natale voglio a tavola Gesù Bambino e gli ultimi sono Gesù Bambino. C’è chi non comprende questo modo di fare, lo considera imprudente, ma non ho mai avuto problemi. A casa mia ricevo Gesù e Gesù non può tradire.”

A conclusione della nostra chiacchierata mi ha salutato con il motto della Croce Rossa “Ama, conforta e salva.”

 

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