Se in una stanza osservo i presenti muoversi alla ricerca di un maglione pesante o di una sciarpa, soffiando rumorosamente sulle mani giunte, ecco che regolare la temperatura del termosifone potrebbe essere una risposta efficace.
In questo esempio, molto generale, la regolazione implica una modifica volontaria (e non accidentale) che consente di creare un ambiente più adatto, mettendo in atto delle piccole azioni che funzionano come aggiustamento progressivo in vista del raggiungimento dell’equilibrio.
Passando all’educazione e alla gestione dell’ambiente familiare, la regolazione assume una luce ulteriore, pur nella medesima logica di equilibrio e ascolto: si tratta qui di condividere e porre in equilibrio le scelte dei singoli membri per assumere una forma armoniosa gestibile. Immaginando la presenza di device, schermi e pratiche mediali di una famiglia composta da quattro persone, si tratta di mettere insieme le preferenze del papà, interessato ai programmi di cucina internazionale, quelle della mamma, appassionata d’arte, quelle del figlio di nove anni che segue tutti i programmi sportivi e quelle della giovane adolescente che pubblica stories ogni 4 minuti. Come fare a regolare queste scelte, e i consumi che ne derivano, evitando di eccedere nei tempi e nella colonizzazione dei dispositivi di famiglia? Come attivare una regolazione che sia capace di ascolto e non solo di censura? In che modo garantire un equilibrio familiare che sia attento a fornire stimoli adeguati a tutti i suoi membri in una logica di incontro? Regolare, allora, significa equilibrare, ma anche dare una regola. La regola di fatto serve e funziona quando mira a uno stato di equilibrio, a maggior ragione quando non è imposta ma contrattata. “il problema dell’educazione non consiste nel proteggere il proprio figlio in modo tale da evitargli dei rischi; consiste piuttosto del fornirgli quel che gli serve per poter scegliere da solo in maniera equilibrata.”
Occorre introdurre un altro termine, quello dell’autoregolazione per gestire il rapporto con gli schermi digitali nelle diverse età evolutive: autoregolazione per indicare un aspetto decisivo, regolare non deve implicare semplicemente un’azione esterna, un intervento superiore e dotto che pone fine ad alcune logiche o che ne autorizza altre. Regolare ha a che vedere con la capacità di adottare strategie interne, aggiustamenti progressivi (come nel caso del termosifone!) su se stessi, ascoltando le proprie esigenze, quelle degli altri e provando ad agire come soggetto consapevole e responsabile.
La logica del contratto è la logica della democrazia e della vita organizzativa: serve a educare alla temperanza non solo perché aiuta a fissare le regole che moderano i consumi, ma anche perché esige autocontrollo, misura, capacità di imporsi con la forza dell’argomentazione.
Nel caso dei media e degli schermi è chiaro che parlare unicamente di regolazione perde subito di profondità: essere temperanti non significa rispettare le regole dopo essere stati ripresi o aspettare che l’altro ci conduca verso una strada di moderazione. Al contrario, significa riconoscere i propri limiti/risorse e gestire in maniera equilibrata gli stimoli dei media, le sollecitazioni e le attività che ci rendono felici in maniera armoniosa.
Avere un rapporto sbilanciato con i media, consumare tutto e in qualsiasi momento della giornata, è un chiaro indice dell’incapacità di regolare i propri consumi mediali, con almeno due conseguenze che nell’attuale condizione mediale sono accentuate dall’autorialità, dalla portabilità e dalla demediazione.
La prima è la perdita dello sguardo. Il rischio qui è di non gustarsi nulla (tutto finisce per avere lo stesso sapore). La seconda conseguenza è l’incapacità di giudizio e scelta che si accompagna al rischio di rimanere in balia del vento, senza quella capacità selettiva che ci rende abili nella scelta di un prodotto mediale ben fatto e di qualità a discapito di un prodotto di scarso valore. Accontentarsi e perdere il senso della misura, dunque, sembrano essere la condanna di chi non è capace di temperanza.
Se concordiamo sull’importanza di non considerare la regolazione come via a senso unico, ma come spazio dialogico emerge chiaramente una domanda: come costruire trame di regolazione? La risposta non è semplice, dal momento che quello che ci sembra essere più significativo è un processo e non una soluzione standard. Questo processo è riconducibile alla pedagogia del contratto. Prendere decisioni insieme ad altri non è semplice, a maggior ragione quando si toccano i confini degli spazi di autonomia personale. La regola non può essere imposta per essere educativa e, in questa cornice, la strada più efficace sembra essere quella della contrattazione e della negoziazione.
Nella costruzione del contratto sono necessari almeno tre elementi: la compartecipazione nel processo di negoziazione (stando tutti sullo stesso piano), la necessità di un impegno reciproco (tutti devono rispettare le indicazioni) e la logica di continuità (per monitorare e verificare in che misura il contratto definito funziona sul campo e non solo sulla carta). Si tratta infatti di coregolare, di definire spazi di incontro, di creare un percorso fattibile nel quale tutti possono dichiararsi soddisfatti, di contrattare e scendere a patti (anche con se stessi).
La definizione congiunta di un contratto sull’uso dei media digitali rafforza la conoscenza reciproca e il legame, facendo emergere risorse, esperienze di successo e fatiche, in una rete di relazioni che finisce per uscirne potenziata. Si tratta di un’operazione che porta numerosi benefici che superano l’ambiente dei media, perché ci consente di aprire un dialogo che parte dalla definizione di pratiche d’uso e finisce per toccare il tema delle relazioni sociali o la disponibilità di un supporto per assecondare le proprie passioni, un problema che proprio i media sembrano acuire o far emergere. Pensiamo alla necessità di stare con gli altri o alla schiavitù delle immagini che i social media sembrano alimentare. Si parla di addomesticamento delle immagini rese consumabili dal digitale, «più vive, più belle, migliori rispetto alla realtà percepita come imperfetta» (Han, 2015).
La regolazione e l’autoregolazione, nella cornice della contrattazione, toccano in maniera diretta la dimensione della cittadinanza nell’ambito dell’educazione digitale.
Contrattare gli usi, i tempi e i modi di accesso ai dispositivi digitali (soprattutto quando sono personali e, dunque, non sottostanno al vincolo della condivisione) diventa occasione di educazione digitale, per accompagnare i soggetti - ragazzi, bambini e adulti - nell’assunzione di responsabilità e nella promozione di un utilizzo creativo dei media. Il contratto, dunque, è un dispositivo di analisi dei propri consumi e delle proprie abitudini per regolare e definire spazi di equilibrio funzionali al benessere di tutti.