Dare credito e fidarsi delle fonti. Questa è la sfida a cui il cittadino è chiamato nel momento in cui fruisce e produce informazioni nel web.
“Fake news”, l’inglese per “notizie false” e “bufale”, è la locuzione che per la Treccani è “entrata in uso nel primo decennio del XXI secolo per designare un’informazione in parte o del tutto non corrispondente al vero, divulgata intenzionalmente o inintenzionalmente attraverso il web, i media o le tecnologie digitali di comunicazione, e caratterizzata da un’apparente plausibilità, quest’ultima alimentata da un sistema distorto di aspettative dell’opinione pubblica e da un’amplificazione dei pregiudizi che ne sono alla base, ciò che ne agevola la condivisione e la diffusione pur in assenza di una verifica delle fonti”. L’“ecosistema della disinformazione” si può dividere tra “misinformazione”, che è la condivisione involontaria di informazioni false, e la “disinformazione”, che è la deliberata creazione e condivisione di informazioni note per essere false. Molti degli eventi più significativi degli ultimi anni sono stati analizzati anche chiedendosi se ci fosse stato un’influenza delle fake news. Un esempio su tutti: in occasione della pandemia Covid-19, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha evocato il pericolo di una infodemia, la diffusione incontrollata di notizie non verificate e false, e ha cercato di chiarire che occorre fidarsi solo dell’informazione istituzionale.
Di certo, dunque, il tema è trasversale e non nuovo. Eppure, la tesi che proponiamo è che “la notizia”, la novità, ci sia. Le fake news non sono nate con l’ambiente digitale, ma ne acquisiscono una particolare rilevanza, ossia segnata da un tipo di comunicazione in cui i fatti oggettivi sono meno influenti nel formare l’opinione pubblica del ricorso alle emozioni e alle convinzioni personali pregresse.
La diffusione delle fake news è strettamente collegata alla visione polarizzata dei fatti che può portare al discorso d’odio (hate speech), non conta la veridicità di quanto si afferma, ma i sentimenti che suscita e mobilita.
Richiamiamo ora due fenomeni spesso connessi alle fake news. Il primo è quello che il sociologo Christopher Bail (2014) chiama “effetto margine”, ovverosia come l’opinione più estrema e radicale acquisisce visibilità nella sfera pubblica, ottenendo un senso di legittimità, e ridefinendo i contorni del campo discorsivo, spostandolo sempre più verso l’esterno, verso il margine, in cui si incita all’azione violenta, si giustifica l’odio e si spinge a imitarlo. Distorcendo le logiche della sfera pubblica come la intendeva Habermas, ossia come spazio di confronto, dissenso, dialogo e partecipazione, cadono i tabù culturali e teorie “indicibili”, come l’incitamento alla violenza, diventano “dicibili” e addirittura azioni (Pasta, 2018). Tommaso Vitale (2019) ha ricostruito il meccanismo di “rafforzamento sociale delle credenze” tipico del regime neomediatico nell’analisi dei 22 attacchi (dalle aggressioni ai linciaggi) registrati in Francia contro i rom dal 22 al 25 marzo 2019, a seguito della diffusione della falsa notizia per eccellenza associata ai rom, il presunto rapimento di bambini, riportata da oltre 16 milioni di messaggi contenenti incitazioni all’odio e all’omicidio nei social network.
Le fake news sono spesso collegate al fascino per il complottismo, in quanto diffusione di notizie che svelerebbero altre verità rispetto a quella ufficiale. A volte si tratta di storie ridicole, ma spesso favoriscono l’odio e i processi di elezione a bersaglio, poiché l’idea del complotto suscita sentimenti contro un nemico comune. Si tratta di un archetipo mitico, tipico di storie che fanno presa sull’emotività, saltando i passaggi razionali e il pensiero critico.
Dunque, la personalizzazione delle verità mina il legame comunitario, poiché saper discriminare le verità significa condividere saperi e condividere saperi vuol dire appartenere a una comunità (Lorusso, 2018; 136).
“ Queste notizie sono abili a catturare l’attenzione dei destinatari, facendo leva su stereotipi e pregiudizi diffusi all’interno di un tessuto sociale, sfruttando emozioni facili e immediate da suscitare, quali l’ansia, il disprezzo, la rabbia e la frustrazione (…). Nessuno di noi può esonerarsi dalla responsabilità di contrastare queste falsità”. (Papa Francesco, Messaggio per la 52^ Giornata mondiale della Comunicazioni Sociali, 2018)