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Tra gli elementi lapidei profusi sui prospetti dei palazzi barocchi leccesi, non manca la raffigurazione di animali mitici, selvatici, puramente fantasiosi che, oltre ad avere una funzione estetico-decorativa, racchiudono un significato simbolico che, in passato, diventava arguta ammonizione rivolta ad un pubblico colto e preparato ad accoglierlo.

Il riferimento va a grifoni, lupi, pellicani, gru che beccano serpi, corpi leonini e taurini, cavalli dalla bocca idealmente tendente al riso, visi con orecchie caprine ed un accenno di corna sulla fronte.

Osservando il bestiario scalpellato sugli stemmi araldici ci si chiede quale tipo di legame il ceto popolare e, soprattutto quello rurale, instaurava con gli animali coi quali viveva a diretto contatto.

I contadini di un tempo, per esempio, li riteneva indicatori del cambiamento di un fenomeno atmosferico: quando rondini e rondoni volano a bassa quota, quasi sempre è indice di maltempo; anche cani e gatti spesso anticipano i temporali parecchio tempo prima, cominciando a dare segni di nervosismo e, a volte, di paura, prima dello scoppio dei tuoni; i galli, se intonano il loro canto in pieno giorno quando il cielo è nuvoloso e l’aria è immobile, quasi sempre sono annunciatori di temporale; le galline, percependo il maltempo (probabile pioggia), spingono i pulcini nel pollaio o comunque sotto ad un riparo.

Anche gli insetti indicano il maltempo: le formiche corrono freneticamente e in massa attorno alla tana; le mosche sono particolarmente noiose e pronte ad entrare in casa; le api tornano frettolosamente nell’arnia; le rane gracidano più intensamente.

Da parte dell’uomo vi è stata una predisposizione ad osservare i comportamenti degli animali e di trasferirli nei modi di dire, nei proverbi, nelle filastrocche, nelle ninne nanne popolari, intridendole di allusioni, similitudini, comparazioni col comportamento, le virtù o i vizi degli uomini. Chi di noi non pensa ad una volpe quando abbiamo a che fare con una persona astuta o ad un cane se qualcuno ci dimostra fedeltà o ad un agnello, espressione per antonomasia di mansuetudine? 

Per approfondire: Barletta, Cane nu mangia cane. Bestiario popolare salentino, Edizioni Grifo, 2013.

                                                                 

 

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