Fin dall’antichità alcuni animali hanno rivestito un senso magico-religioso, verso altri si manifestava una certa repulsione, se non un’autentica paura, e si evitava così di pronunciare il loro nome, sostituendolo con diversi sinonimi, per la convinzione superstiziosa che potevano materializzarsi e risvegliare il loro influsso negativo appena li si nominava.
È il caso della civetta, appellata lu castarieddhru te la morte, la civetta della morte, perché, secondo la tradizione, preannunciava un evento luttuoso: se in qualche casa vi era una persona agonizzante, il canto stridulo della civetta, soprattutto di notte, annunziava l’imminente decesso.
Modi di dire:
Ogne cuccuascia se anta li cuccuasceddhri soi, ogni civetta si vanta i suoi piccoli, si riferisce alle mamme che vantano i propri figli anche se brutti o mascalzoni.
In molti centri della provincia di Lecce, la donna più che brutta, per non dire mostruosa, si appella ingiuriosamente cuccuàscia, civetta, o si dice ingiuriosamente che ha una facci de cuccuàscia, faccia di civetta, ossia che somiglia, nel volto, ad una civetta e definisce una donna notevolmente brutta, somigliante nel volto al passeraceo; in definitiva può considerarsi la versione femminile dell’epiteto ingiurioso, rivolto esclusivamente ad un uomo, facci te facciommene, faccia di gufo, barbagianni, mentre la locuzione nu fare tantu la civetta, non fare tanto la civetta, si riferisce a donna vanitosa, che ama farsi corteggiare attraendo ammiratori con atti e vezzi per lo più leziosi e poco naturali. Questa espressione scaturisce dal fatto che questo rapace, quando veniva usato dai cacciatori come richiamo per ingannare i piccoli passeriformi, li attraeva con un particolare modo di battere le ali, con inchini, ammiccamenti e altri atteggiamenti simili diventando irresistibile attrattiva per le potenziali prede.
Per approfondire:
R. Barletta, Cane nu mangia cane. Bestiario popolare salentino, Edizioni Grifo, 2013.