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Appunti tratti - tra altro - da una “relazione” che il compianto donGaetano Quarta, per il Lithostrotos, svolse il 31marzo 1978, all’introduzione di una conferenza sul vescovo Pappacoda, curata dalla associazione appena costituita e della quale era Presidente (il primo Presidente) l’avv. Menotti Guglielmi.

 

 

 

LA STORIA CHIAVE PER INTERPRETARE IL PRESENTE

Con la excusatio, secondo la quale, quella era la prima manifestazione “culturale” di Lithostrotos, la conversazione muoveva da un riferimento ad insegnamenti di Lazzati, il quale, proprio in quei giorni, si era espresso per la “promozione dell’uomo sul binario della fede e della cultura” (una sorta di idem sentire con don Luigi Sturzo). E con la ulteriore spiegazione introduttiva secondo la quale la conferenza non costituiva l’adempimento di esigenze conoscitive, ma manifestava attenzione alla storia, per la migliore lettura ed interpretazione della realtà contemporanea, odierna. Descriveva il “quadro” della base socio politica del Mezzogiorno nel 16° secolo, “fastoso e sudicio”: avendo avviato la “Politica Atlantica”, la Spagna andava disinteressandosi progressivamente del governo del Mezzogiorno d’Italia, riguardo al quale era stata fino ad allora protagonista. Ed il Mezzogiorno, per un verso diventava sempre più autarchico variamente (nei rapporti politici e nei rapporti gerarchici ecclesiastici), ma per altro verso sempre più facile preda per i Turchi, almeno fino alla sconfitta di Lepanto (1571), inflitta loro da una flotta comandata da don Giovanni d’Austria ed allestita dalla “Lega Santa” promossa tra le potenze occidentali (Venezia, Genova, Savoia, Toscana, Spagna, Ordine di Malta) su iniziativa di Pio V. La grande storica vittoria non venne utilizzata dall’Occidente cristiano - come si sarebbe dovuto - a causa dell’insorgere di dissidi tra le potenze vittoriose.

Tuttavia l’evento è sottolineato dalla storia, anche perché esso segna anche l’inizio del disimpegno della potenza Ottomana dal fronte del Mediterraneo (ma ahimè, si rifletta oggi, alle odierne pretese espansionistiche dell’ottomano Erdogan).

Fino all’avviarsi della Politica Atlantica da parte dei monarchi spagnoli, il Mezzogiorno d’Italia fu dominato dagli Spagnoli in tutto: ne subì il potere giurisdizionale, il potere governativo, etc., i quali venivano imposti sia nelle città con i “viceré”, sia nella campagna con i “feudatari”.

Più specificamente per quel che riguarda le città meridionali: queste soffrono trascorrendo una sorta di... meriggio, che, alla fine, si fa... crepuscolo: recessione in economia, in intraprendenza, depressione.

Evidentemente variegata la organizzazione ed il governo politici del territorio con Città municipali (con elezione di sindaco decurioni) e città feudali (con il potere totale de feudatario).

 

IL MEZZOGIORNO, IL CONCILIO TRIDENTINO E IL CORTILE DEI VESCOVI DI LECCE

Di enorme importanza, nel Mezzogiorno, ciò che accadde riguardo ai rapporti tra le Chiese locali e la Chiesa cattolica centrale: il Sud non si adeguò nei tempi ragionevoli (come, invece, il Nord) alla Controriforma Tridentina, di essa ritardò l’attuazione, la quale, per altro, si manifestò con i limiti profondi della particolare configurazione dei luoghi, caratterizzata dalla crisi del “viceregno”.

Dal punto di vista ecclesiastico (e, per certi aspetti, anche dal punto di vista propriamente religioso) si manifesta il divario tra Nord e Sud che avrebbe contribuito (o addirittura determinato) il nascere ed il radicarsi dell’altro divario, che oggi corrisponde alla “questione meridionale”; universalmente si riconosce, invero, che “il Concilio di Trento (1545 – 1563) affrontò tutti i problemi dottrinali e pratici messi innanzi dalla Riforma protestante (“luterana”) e sollecitati dalla situazione interna della Chiesa. Le prese di posizioni del Concilio, dottrinali e pratiche, furono determinanti per la vita della Chiesa nei secoli seguenti, ed esercitarono un influsso di prim’ordine sulla storia culturale e politica europea…”.

Caratteristiche del fenomeno nella organizzazione ecclesiastica: polverizzazione delle diocesi del Sud; se ne crearono al Sud in numero pari a quelle dell’intera Francia; ma i vescovi non riuscirono mai a governare ed a mettere ordine; le Diocesi erano, invece dominate da altri poteri: forze particolaristiche, che non avevano interesse all’ordine il quale avrebbe annullato, quel potere di fatto esercitato, anche nella assenza del controllo del Sovrano. La volontà riformatrice dei presuli veniva contrastata da una grande varietà di poteri diversi (capitoli, universitates, confraternite, corporazioni, feudatari, etc.).

Per altro, i vescovi erano soli; non ricevevano aiuti (sussidi o consigli) né da Roma né da Napoli.

Tale è il contesto socio-ecclesiale (1591 – 1670), nel quale governano la diocesi di Lecce Scipione Spina e Luigi Pappacoda, “vocati”, in tale contesto, alla attuazione della Riforma (o “Controriforma” che dir si voglia) Tridentina, già di per sé non semplice.

Quando, nel 1591, si insedia Scipione Spina, Lecce, è dominata dagli aristocratici (avvocati, notai, medici, etc.), è instabile; l’università è afflitta da contrasti interni; nella popolazione cittadina eccellono piccoli alacri artigiani, il commercio è curato dai Veneziani; la campagna è curata dai contadini; gli artigiani aderiscono alle “pie” confraternite laicali (costituite su iniziativa degli ordini religiosi); in tempi in cui non fanno - ancora - parte della cultura la solidarietà, la assistenza, non la tutela della persona che lavora, a Lecce fiorisce una sorta di moderna sussidiarietà nelle predette confraternite con finalità corporative: calzolai, falegnami, pizzicagnoli, etc. difendono il lavoro, il mestiere, l’arte e ad un tempo ricercano la spirituale salvezza. Esse evolvono verso rapporti mutualistici (prestiti, infermità, doti). La guida delle predette “pie confraternite - corporazioni” è monopolio del clero regolare, ed esse valgono in proporzione del credito di cui gode l’Ordine Regolare che le assiste: qui sono i Gesuiti che assistono le Confraternite; Padre Bernardino Realino scrive le “Regole” delle confraternite; tra gli altri ordini, i Teatini si sono riservata la assistenza degli Aristocratici.

E tuttavia enorme attività svolgono le “colonie” di forestieri (Veneziani, Genovesi, Fiorentini) operanti in città, che iscrivono testimonianze anche dai punti di vista edilizio (sacro e civile) e toponomastico.

Nel 1639 si insedia Luigi Pappacoda, riconosciuto dalla storia come uno dei migliori vescovi di Lecce:

  1. a) riesce ad attuare nella diocesi la Riforma Tridentina del Clero prima di tutto con comportamento pastorale esemplare; vigila sul clero e lo assiste; diffonde editti pastorali; celebra due Sante Visite; indice due sinodi diocesani;
  2. b) rinnova il volto edilizio della città, esaltando la genialità e la passione degli architetti e scultori come Zimbalo (chiesa cattedrale, campanile, cortile del vescovado);
  3. c) promuove presso i laici lupiensi la cultura urbanistica e quella edilizia, che “producono” la sistemazione delle strade, nuove Chiese, nuovi palazzi, etc.

I VESCOVI DI LECCE E LA CURA DEL ‘CORTILE’

Una precisazione è dovuta, suggerita dall’unicuique suum tribuere: prima e dopo la Riforma Tridentina, si sono succeduti nel governo della Chiesa in Lecce vescovi che hanno avuto cura del territorio della diocesi, quasi sempre con una attenzione particolare verso quella che è stata definita “una delle più raffinate opere di Lecce”: Piazza Duomo, con la cattedrale, il campanile, l’episcopio, il seminario: a partire da mons. Gerolamo Guidano (durante il suo episcopato -1420 - 1425 – fu costruito il grande cortile); mons. Giovan Battista Castromediano (1535-1552) lo ampliò ed abbellì; quindi i vescovi Spina (1591) e Pappacoda (1639); altri lavori curò mons. Fabrizio Pignatelli (1696-1734); mons. Alfonso Sozy Carafa fece costruire (1761) i “propilei” all’ingresso, e curò la facciata principale dell’episcopato, con un “nuovo” orologio, opera del leccese Panico (in sostituzione di un orologio andato distrutto, in precedenza sistemato sull’entrata del Cortile); questo, che nella “parlata corrente” del popolo lupiense non cessa di essere “lu Curtigghiu te lu Pescupatu” si converte, nei termini tecnici urbanistici, in “Piazza del Duomo” ed è classificata ed indicata tra le più belle piazze d’Italia, dal punto di vista architettonico ed artistico (... un episodio architettonico, storico, urbanistico T. Pellegrino: Piazza Duomo a Lecce - Editoriale Adda Bari).

Può dirsi che, via via, ogni Presule ha dedicato cura ed attenzione verso quel “suo Cortile” sia disponendo, quale titolare... “demaniale” per la sua utilizzazione, per lo più in funzione liturgica (es.: ogni anno la Veglia di Pentecoste), ma anche concedendone l’uso per eventi tradizionali popolari (es.: la “Fera te lu Pescupatu”, alias “la spasa te Monsignore”, 1^ domenica di novembre, istituita molti secoli addietro: se ne trovano indizi addirittura nel XV secolo); sia arricchendola ed abbellendola (es.: Mons. Ruppi, 2008, illuminazione notturna artistica, ad opera dell’Enel); sia promuovendo l’ammirazione mondiale della bellezza artistica, architettonica e storica di essa, con la adesione alla utilizzazione per manifestazioni laiche culturali mondiali (es.: Mons. Seccia, 2020, evento Dior).

Evidente è che la raccolta di “appunti” ha ecceduto rispetto alla “conversazione” del prof. don Gaetano Quarta, ed “appunti” altri sono stati raccolti presso altri “fondi” (abbiam fatto riferimento alla bella opera di Teodoro Pellegrino “Piazza Duomo a Lecce”; aggiungiamo: i tanti lavori di Rossella Barletta, Ilderosa Laudisa, Michele Paone, Fagiolo e Cazzato, Adolfo Putignano, Aduino Sabato, altri, senza trascurare la tradizione popolare, la memoria individuale.

 

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