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Ritorno sul significato di “misura” e di “limite” augurandomi di avere centrato il motivo dell’appello/invito DIVULGATO mercoledì scorso e di avere suscitato la sua giusta accoglienza.

 

 

Di là dall’oggettiva necessità dettata dall’attuale momento di emergenza pandemica, sarei arrivata automaticamente a legare il concetto di “misura” al cibo che tuttora so che va sprecato. Apprendere che ciò permane, mi fa infuriare. Lo ritengo inaudito senza mezzi termini.

A pensarci bene non è soltanto questo gesto (il più eclatante?) a connotare il limite tollerabile di un comportamento in virtù del quale, l’individuo che lo compie, dimostra di non avere il senso della misura anzi di oltrepassarla secondo un sentire comune. Così facendo si occupa il campo del disordine, della sregolatezza, dell’indisciplina da cui è facile scivolare nella scorrettezza, nella disonestà, nell’immoralità, nella strafottenza, ed essere a un passo dal fallimento, dal tracollo, dalla bancarotta.

Vengo al dunque. Mi affido all’evocazione di fatti accadutimi e colgo l’occasione per chiedere/mi quanta “misura” (sinonimo di “virtù” pubblica) si osserva e si fa osservare, per esempio, negli uffici e nelle scuole pubbliche, il corretto consumo di energia elettrica, di telefonate, di riscaldamento, di carta, di fotocopie, ecc. ecc. Se, in un momento di emergenza economica (comunale e nazionale) si registra una presa di coscienza tendente al doveroso risparmio. Ricordo che, dovendo condividere l’uso del bagno nell’anno in cui il mio impiego era presso l’Ufficio Informazioni Turistiche situato a piano terra dei Teatini (sede di uffici del comune di Lecce), dovetti scrivere un cartello per invitare a spegnere le luci dopo l’uso dell’ambiente. Il vezzo diffuso era di lasciarle accese. Dopo qualche giorno di immaginati mugugni, il cartello sparì e si ritornò allo status quo. Un’altra volta accadde che si ruppe lo sciacquone e segnalai al dirigente di provvedere al ripristino per evitare l’enorme spreco di acqua, la preziosa linfa che abbiamo dovuto sempre elemosinare e pagare a caro prezzo. Mi rispose che non era di sua competenza. Bene. Anzi, male!

I termosifoni, come i condizionatori, erano sempre al massimo. Non si poteva abbassare la temperatura perché l’impianto era centralizzato. Quindi? Si tenevano spalancate le finestre o si metteva un telo sul condizionatore per non congestionarsi.

Figurarsi se, ad altri oltre che a me, tutto ciò appariva la quintessenza dello spreco unito alla più profonda ignoranza di chi non ascoltava ogni ragionevole invito a ridurre evidenti fonti di inquinamento e di pessima igienicità per gli impiegati nonché di spreco economico che incideva sensibilmente sul bilancio comunale!

Mo’ riporto una risposta (inclassificabile) ricevuta da un vigile urbano l’1 novembre scorso dinanzi al cimitero. Gli avevo segnalato che l’autobus urbano in sosta nel piazzale adiacente, teneva acceso il motore da un quarto d’ora, incurante dei gas di scarico, favorendo così l’effetto serra (sanzionabile in modo salatissimo), e del frastuono che provocava. Il vigile non poteva redarguire il conducente perché se il motore si spegneva, il mezzo non riusciva a ripartire. Allucinante! Incredibile! Sogno o son desto?

Esprimo indignazione per la cattiva abitudine di lasciare le luci accese nei due edifici scolastici situati vicino a casa. In uno di essi la colpevole distrazione ha fatto sì che i lampioni esterni siano rimasti accesi per tutto il tempo del confinamento obbligatorio. Quindi, quanti mesi?

Mi avvio alla conclusione pervasa da un immaginabile sentimento di amarezza e di scoramento. Il destinatario di queste parole non è tanto chi amministra o ci rappresenta o svolge un ruolo pubblico, ma l’individuo che, a seconda dei casi, indossa l’abito dell’amministratore, del dirigente, dell’impiegato, del funzionario, dell’esecutore di un incarico pubblico. Il quale è anche cittadino e, insieme a me, a te, a lei, a lui costituisce la collettività coi suoi diritti e doveri. Ciascuno ha idea di cosa vuole dire misura e limite? Come e quando si applicano? Ha capito la differenza tra il bene/servizio pubblico (il cui funzionamento di cui usufruisce la collettività si ottiene col pagamento delle tasse da parte dei cittadini) e il bene privato (del cui godimento il singolo cittadino provvede attraverso il proprio reddito)? Ha capito che ogni gesto fuori-misura, fuori-limite, fuori-dalle regole, effettuato nel contesto in cui viviamo va contro la sostenibilità ambientale (quante volte invocata) da cui discende la sostenibilità economica? Manca l’intelligenza o la volontà per rimediare e cambiare il modus vivendi come si è auspicato e gridato ai quattro venti durante la prima ondata di Coronavirus?

Possibile che al giorno d’oggi obiettivi raggiungibili col senso dell’onestà e del buon senso siano ancora un miraggio? Vocabolo quanto mai spaventoso se soltanto si pensa all’immagine che dà di prospettiva lontanissima. Irraggiungibile per definizione. Priva di ogni concretezza e realizzazione.

Vi sembra questo più che altro uno sfogo personale? No. Sono riflessioni purtroppo amare. Mi hanno aiutato a dimostrare quanto il termine latino modus sia possibile adattarlo alla realtà locale; nasconda un’intenzione educativa e un imperativo di auto/controllo e si presti all’appello/invito contenuto in queste righe. E, infine, come scrive N. Gardini nel suo prezioso Le 10 parole latine che raccontano il nostro mondo (Gedi, Roma 2019), quanto riesce a non rimanere chiuso nella scrittura dei classici.

 

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