Tutto ciò che è appuntito e lascia un marchio, un’impronta sfigurante (a volte, però, può esserlo un ricordo, un gesto, un’offesa), proviene dal termine latino stilus, stile.
L’obiettivo di sfregiare si trova nello stiletto (pugnale corto, ma dalla lama terribile) da cui il verbo stilettare che definisce un’azione inaspettata e ferale. Più innocuo lo stilo (ago della meridiana) e, apparentemente, i tacchi a spillo (in inglese stiletto heels), scomodi e pericolosi, aborriti e assolutamente vietati da chi invita sulla propria imbarcazione!
Come pochi altri termini, stile si mostra ambiguo: può lasciare una traccia su un corpo, ma svolge pure una funzione meno scellerata; per esempio nel braccio della stadera, nel palo attorno al quale si impila il fieno, quando è presente nella morfologia del fiore (lo stigma) e nelle alghe tinte di rosso. Di recente è usato e, forse, abusato, per indurre a seguire un comportamento (più che altro alimentare) quando non è conforme alla norma e si prefigura un eccesso che, alla lunga, diventa nocivo per la salute.
Lo stile si nasconde nelle letture che preferiamo, nelle correnti artistiche che privilegiamo, negli articoli del giornalista prediletto, nei brani musicali di maggiore gradimento, nelle auto, eccetera, eccetera. Talvolta è talmente subdolo, spudorato, spontaneo e determinato, come preferite, che ci fa attirare verso una persona o ce la fa respingere se non riceviamo manifestazioni di (buone) maniere, raffinatezze e un tocco di garbo che è sempre gradito. E che fa tanto bene al cuore e non soltanto!
Ciò detto, per avvicinarmi al dunque, ragiono attorno a un altro significato di stilus, quello di asticciola, ricordando che gli antichi progenitori la adoperavano per scrivere sulle tavolette cerate (concetto racchiuso nelle predilette penne stilografiche), che nel periodo medievale e rinascimentale serviva soprattutto per tirare linee sul foglio e che gli “anta”, come la sottoscritta, l’hanno impugnata per scrivere dopo avere intinto nell’inchiostro il pennino inserito in un apposito alloggiamento metallico.
Raffigurando le mani che la impugnano disegnando, l’olandese M. C. Escher (1898-1972) ha elogiato una delle attività umane di maggiore e permanente successo, un gesto a-temporale, quello dell’incisione della carta - con un gesto apparentemente immediato, elaborato, frutto di processi mentali lenti, ma continui -, soppiantato da un’invenzione rivoluzionaria: la stampa a carattere mobili, a sua volta soppiantata dalla macchina da scrivere messa definitivamente in soffitta dal computer, dal cellulare, dal tablet.
Quanti vantaggi ricevuti da queste “macchine”! Disconoscerli sarebbe come negare la loro stessa esistenza e ignorare che anch’io sto usando la tastiera del mio computer in modo facile e assistito.
Il punto è un altro e cerco dispiegarlo ricorrendo all’ormai noto N. Gardini e al suo libro “Le 10 parole latine”, il quale avverte che «Non esistono però solo vantaggi. Numerosi studi hanno dimostrato che la scrittura a mano sviluppa la memoria, organizza le informazioni in aree specializzate del cervello, stimola il pensiero astratto e la diversità. […] Per aggirare il predominio della tastiera, negli Stati Uniti è cominciata una campagna a favore dell’uso della penna nelle scuole primarie; a Haward alcuni professori impongono agli studenti di prendere appunti a mano e non col computer».
Pare che in Italia esista una “giornata della scrittura a mano” (23 gennaio) e che vi sia in proposito un programma di azioni atte a fare riconoscerla patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Chi se ne sta occupando nutre forti perplessità sulla scrittura digitalizzata: non personalizza, non lascia traccia di chi l’ha eseguita che non trasferisce nella grafia alcun messaggio recondito, a differenza della scrittura manuale che rivela il carattere e le condizioni dello spirito dell’esecutore. In caso di predominio si cancellerebbe lo studio grafologico così rivelatore di pathos e di debolezze umane.
Sull’importanza di scrivere a mano, di graffiare una superficie predisposta a ricevere il segno, di scavare o di solcare la cera, il papiro, la carta ricavata da stracci, rispettando nel contempo i margini (esercizio educativo per nulla secondario), hanno scritto Petronio, Quintiliano, Petrarca e intellettuali contemporanei. Gardini ribadisce: la scrittura a mano è quel livello minimo di artisticità consentito a tutti, attraverso cui sentirsi liberi e alleati della realtà.
Secondo i Romani l’esercizio della scrittura è propedeutico a parlare bene; chi scrive a mano i propri discorsi si ispirerà sempre a ciò che ha scritto anche quando si mette a improvvisare e lo farà bene; i bambini devono imparare a scrivere correttamente e con una certa velocità.
Ecco il punto: i bambini. Scrivere e disegnare a mano per loro diventa il modo, lo stile tutto personale attraverso il quale raffigurano senza artifici e sovrastrutture la realtà che li circonda. Esprimono un livello minimo di artisticità.
Mi avvio alla conclusione con una constatazione e una riflessione. La prima: molta scrittura contenuta negli atti pubblici, in cui si riflette il tessuto politico-sociale del momento, se qualcuno non sta avendo l’accortezza di digitalizzarla, andrà perduta. Cosa scriveranno i ricercatori storici di domani tra 50-80 anni per ricostruire i tempi attuali?
La riflessione scaturisce appena dopo avere letto che il comune di Lecce (come penso altri comuni d’Italia), mette a disposizione di famiglie definite vulnerabili, un notebook per consentire ai figli da 0 a 6 anni di disporre delle attrezzature necessarie per prendere parte alla didattica a distanza o alla didattica integrata digitale. Tale azione è stata ritenuta indispensabile per garantire il diritto allo studio e favorire i bambini a seguire le lezioni. Da 0 a 6 anni!
Ancora: in un’intervista rilasciata a un giornale locale on-line in cui è stato dichiarato che bisogna rendere il «digitale un ingrediente abituale della didattica sia in classe sia a casa; che il digitale è come l’alfabeto; che non ha senso porsi il problema di contrapporre la didattica alfabetica a quella non alfabetica» … e via con questo tono. In entrambi i casi nessun cenno alla manualità.
Concludo. Veramente non so che dire o a chi dare ragione. Ho la testa confusa. Certamente l’evoluzione dei tempi richiede la padronanza del computer. Però… Di fatto vi sono due modi di pensare che si scontrano ed è veramente difficile stabilire quale dei due vincerà. Ciascuno difenderà le proprie scelte e le proprie ragioni e garanzie. Naturalmente salvando, rispettando e tutelando la sensibilità e la personalità del bambino. Mi auguro che non sia uno scontro a mano armata… di stiletto.
Sarebbe bello che si creasse un dibattito attorno a questo importantissimo argomento.