È inutile prendersi in giro. Chi potrà permetterselo economicamente, chi non ha rimorsi di coscienza e chi è abituato a intravvedere l’aspetto materiale, trascorrerà il Natale come sempre ha fatto.
Chi, invece, partecipa alla sacralità dell’evento e all’atmosfera che porta con sé il Natale, pure lo vivrà come sempre ha fatto, magari caricandolo dell’inquietudine dell’attuale momento critico e, per certi versi e per molti di noi, tragico, risvegliando nel contempo ricordi di persone care scomparse. Lo vivrà sobriamente. Forse mestamente. Forse ponendosi domande sulla caducità della vita. Insomma senza stravolgere il proprio stile di vita. Magari coglierà l’occasione per farsi carico di qualche esigenza collettiva. Del resto si dice che a Natale diventiamo tutti più buoni!!!
La domanda che circola da giorni sui mezzi di comunicazione (spesso colpevoli di creare in noi false idee o confusione), è sul tipo di Natale che trascorreremo per colpa del Coronavirus. Il quesito non è figlio esclusivamente di questo straordinario momento, ma da lungo tempo se lo pongono intellettuali, opinionisti, giornalisti di rilievo. E mi pare che ognuno, con le parole che abitualmente lo connotano, abbia detto chiaramente che ormai il Natale cristiano è una festa profondamente laica, “comandata” – secondo per esempio Umberto Galimberti - dalla logica del mercato. O dalle economie mondiale, nazionale e locale, in affanno e dal futuro incerto. Forse soltanto la Cina gode ottima salute. Ma a quali condizioni! Del resto che molto sia cambiato è sotto gli occhi di tutti.
Il noto filosofo, più di dieci anni fa, diceva che «l’Occidente forse non è più cristiano e la completa laicizzazione del Natale, la festa cristiana per eccellenza, è solo una conferma che il cristianesimo in quella sua vera essenza che è l’amore per il prossimo, lontano o vicino che sia, in Occidente non ha più casa, né chiese, né luogo dove trovare espressione. […] Oggi circolano altri simboli come il denaro e la tecnica che diventa il mezzo per conseguirlo senz’altro scopo che non sia il suo autopotenziamento». Oggi, osservava, la cultura regolata unicamente dalla rigida legge di mercato e la cultura cristiana intrisa di speranza, di rinascita, di promesse appaiono distanti.
La contraddizione – sosteneva Galimberti - è ben palesata dall’albero di Natale, simbolo non cristiano che ha sostituito il presepe che, invece, è ambientato in uno scenario di povertà, di umiltà. Di autenticità aggiungo io. Dalla stalla dove avvenne la nascita di Gesù verso cui accorsero per primi i pastori, il senso del Natale si è trasferito nel luccichio dei negozi, nella sovrabbondanza dei supermercati, nelle evasioni promesse dalle agenzie di viaggi, nelle stazioni sciistiche e via elencando. Non dimentichiamo –aggiunge Enzo Bianchi – che l’annuncio degli angeli ai pastori parla di pace in terra “agli uomini di buona volontà” che in realtà significa “all’umanità intera”.
Sì, è vero, la ricorrenza del Natale è ormai emblema di consumismo che contrasta con lo spirito del medesimo Natale. È evidente la sua strumentalizzazione. Insostenibile nel tempo attuale se rapportata alle immagini desolanti se non proprio struggenti che scorrono sullo schermo televisivo. In proposito però desidero dire la mia su un aspetto che talvolta sfugge: quando a Natale dispensiamo regali rinnoviamo una tradizione bimillenaria di cui abbiamo raccolto il testimone! Non siamo contadini, è vero, non vestiamo più quegli abiti ruvidi benché caldi, non regaliamo una forma di formaggio o un paniere di uova o una focaccia o una gallina al Bambinello, ma conserviamo intatto quell’antico spirito e lo riproponiamo elargendo un dono. Mi chiedo allora dov’è la colpa in chi decide di fare un regalo all’amico, al fratello, alla nipote, alla madre, al proprio dentista, all’avvocato, al medico e così via. Si perpetua una tradizione simile a tante altre.
Semmai è la frenesia che ci disturba perché snatura e svilisce il gesto del dono che andrebbe fatto col cuore e non tanto per…Purtroppo lo scenario attuale è frutto del tempo. E poi quest’anno…sfido a vedere frenesia in giro! E comunque, mai come adesso siamo chiamati un po’ tutti a fare doni, naturalmente acquistandoli, perché ne traggano beneficio i commercianti in difficoltà. Che facciamo: non rispondiamo all’appello? E se in casa ci sono bambini e anziani… come ci regoliamo? Li priviamo di quel piccolo, tanto atteso momento magico quando scartano il pacco per vedere se il desiderio è stato accontentato? No. I doni servono. Fanno bene a chi li fa e a chi li riceve.
Inutile illudersi: indietro non si torna. Magari quest’anno più che mai diamo prova di solidarietà facendo qualche regalo a chi si trova in difficoltà. Per esempio destiniamo una cifra devolvendola a un centro di volontariato. Senza gridarlo ai quattro venti. Accompagnandolo col giusto sentimento che senz’altro corrisponderà a quello che ha in sé l’atmosfera del Natale.