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Viene automatico collegare la parola fede a quella dell’amore e, in particolare, alle nozze per l’immagine che evoca: due sposi che promettono e si impegnano a rimanere fedeli quando si scambiano l’anello coniugale, la fede appunto.

 

Un sigillo di metallo che suggella una reciproca volontà, un impegno solenne e eterno. Tutt’altro che una formalità. Già gli appellativi e i termini precedenti al momento sacramentale, come fidanzato, fidanzarsi e fidanzamento, significano scambiarsi fidanza ossia fede o fiducia che dir si voglia.

Il sostantivo oggetto di questa riflessione, l’ultima della serie, viene dal latino fides che, oltre alle voci appena citate, per estensione vuole dire fedeltà, credenza, lealtà.

Fuori da questo specifico ambito semantico, accade che si ha fede ogni qual volta che si dimostra un attaccamento – più o meno profondo – a un’idea, un proposito, una causa, una persona o a un gruppo di persone vincolate legalmente da un patto o da un regolamento.

Fede è una parola brevissima, appena due sillabe, ma quante virtù contiene. Tante e pure nascoste. Come una pianta medicamentosa. Cresce rigogliosa specialmente nel terreno teologico, dove si nutre di significati e, soprattutto, di verità dottrinali: argomento che lascio trattare ai competenti quale io so di non essere.

Osservo, tuttavia, che oltre alla religione, la parola fede sosta nella sfera della immaterialità in genere e, pertanto, il suo domicilio non è esclusivamente e unicamente lungo la via della virtù teologica. Non ha una fissa dimora. Ma è nel contempo stanziale.

Poiché la mia penna esprime una forma mentis laica che, mi preme chiarire - aderendo alla convincente definizione che ha dato recentemente Claudio Magris sul senso del laico -, accetta ciò che è dimostrabile razionalmente e articola il proprio pensiero secondo principi logici, mi appassiono maggiormente dinanzi ai quei valori ritenuti caldi, come l’amore o l’amicizia, i quali sono coltivati da ciascuno di noi e coesistono accanto o in virtù dei valori cosiddetti freddi come la legge, la democrazia, le regole del gioco politico. E di entrambi, volta per volta, ho scritto e scrivo.

Avere fede vuole dire essere fedeli a qualcuno - più che a qualcosa che lascia intendere un contatto con un essere inanimato; tuttalpiù sostituirei con progetto -, non tradire la sua fiducia, il rapporto creatosi sulla base di una stima, di un rispetto e di altri valori simili che non abbisognano di un atto legalmente sottoscritto. Non tradire come principio di vita. Punto. Dimostrare costantemente che la preferenza accordata a una persona - magari in un preciso momento che sigla la volontà reciproca di saldare idealmente il proprio modo di pensare - non subirà oscillazioni come se la fiducia fosse un titolo azionario quotato in borsa. Sarà sempre solida e sicura. Mai al ribasso. Semmai registrerà una regolamentazione, una calibratura causata dal passare del tempo, si sedimenterà naturalmente con l’attenuazione degli impeti e degli slanci iniziali. Produrrà, anzi, un rinvigorimento, un rinsaldamento delle convinzioni a causa della raggiunta maturità del rapporto o del sentimento.

E proprio tale maturità (non esclusa, beninteso, quella anagrafica) farà scoprire che la fede non è un sentimento univoco, unidirezionale. Coinvolge la sensibilità, le idee, i gesti, i comportamenti che indirizziamo - o che riceviamo - anche senza accompagnarli con le parole. Spesso necessarie. Spesso superflue perché in alcuni casi è il gesto in sé a parlare. Sono tanti i sinonimi di fede e di fedeltà. Vanno dalla dedizione all’affidabilità, dall’adesione al legame, dalla lealtà all’attendibilità e via immaginando. Ogni lettore può aggiungere il sinonimo che vuole perché la gamma è ampia.

La rarefazione di alcuni atteggiamenti umani, di matrice civica ed educativa nonché umana, lascia perplessi in quanto sintomo di impoverimento spirituale, di distrazione, di insensibilità, di egoismo. Spesso vedo attorno a me che i rapporti sono velocizzati senza un giusto motivo, che persone divenute improvvisamente podiste intraprendono una corsa mirando a un traguardo che certamente raggiungono, col rischio, però, di perdere pezzi importanti dell’ingranaggio. Sembrano tanti carillon che trasmettono il motivo musicale fino a quando dura la carica. Poi…

Del resto mi chiedo se alcuni valori li abbiamo dentro di noi oppure no. Già porsi nella condizione di volerli coltivare è un indizio di promettente cambiamento. Che fa bene a sé stessi e si trasmette agli altri. Basta volerlo.

 

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