Volendo accostarsi al tema delle apparizioni di San Giuseppe è doveroso riconoscere che si entra in un campo molto complesso, delicato.
Fonti e documenti di vario genere e natura descrivono infatti numerosissime apparizioni del nostro santo. Tra le tante ne racconteremo soltanto una, scelta sia per il suo profondo significato, sia perché ne fu protagonista un uomo assolutamente degno di fede, San Luigi Orione (1872-1940). Una personalità concreta, pragmatica, certo non incline a facili sensazionalismi. L’episodio è così noto negli ambienti orionini che ancora oggi, a distanza di più di un secolo, viene spesso ricordato. Ne esiste tra l’altro un resoconto scritto dal medesimo don Orione che costituisce dunque una testimonianza importante su cui riflettere.
Ma veniamo ai fatti. Era il marzo dell’anno 1900 e don Orione si trovava a Tortona, in Piemonte, luogo destinato a divenire uno dei principali spazi del suo ministero. La famiglia religiosa da lui fondata, la Piccola Opera della Divina Provvidenza, muoveva appena i primi passi ed era impensabile l’imponente sviluppo di attività caritative che in seguito sarebbe stata capace di far sorgere. Si vivevano momenti penosi, di estrema ristrettezza economica. Don Orione, per poter provvedere almeno al necessario dei figli spirituali, si trovava assediato dai creditori. Le inquietudini dunque non mancavano. Pure, si continuava a restare saldi ed a pregare San Giuseppe, fiduciosi in un aiuto divino. Non per nulla la Chiesa definisce il falegname galileo Filii Dei Nutritie, Nutrizio del Figlio di Dio. Lo riconosce cioè come l’uomo che ha provveduto al sostentamento del Salvatore. Giunse quindi l’antivigilia della festa del santo. Il portinaio avvertì Don Orione che uno sconosciuto si era presentato alla porta e chiedeva di lui. Il buon sacerdote dovette andare a vedere chi fosse, temendo in verità qualche sollecito di pagamento. Si trovò invece davanti un signore distinto, con una folta barba bionda, che gli porse un plico. Chiese se si trattasse dell’impegno di celebrare qualche messa ma l’ignoto benefattore lo rassicurò che non c’era alcun obbligo. E subito andò via. Il prete era rimasto come interdetto da quella presenza che aveva un non so che di misterioso, di solenne. Comunque aprì la busta: dentro c’era una grossa somma di denaro, utile a ripianare tutte le pendenze. Sempre più sorpreso, avrebbe voluto ringraziare quell’uomo generoso e mandò a cercarlo. Ma nessuno lo aveva visto, né in chiesa, né sotto i portici, né per le strade vicine. Venuta la sera, riflettendo sulla cosa con monsignor Novelli, iniziarono a pensare che altri non potesse essere che San Giuseppe, fattosi presente per confortarli. Da allora, in occasione della memoria liturgica, i sacerdoti orionini usano appendere alle statue del santo una bella pagnotta in segno di riconoscenza.
Che dire? Molti potrebbero storcere il naso all’idea di un San Giuseppe venuto a consegnare banconote. L’episodio, in realtà, sembra inserirsi appieno nella Tradizione. I padri della Chiesa, a cominciare da Crisostomo o Ambrogio, non hanno mai condannato la ricchezza in sé quanto l’attaccamento ad essa ed il suo cattivo utilizzo. Il celebre ricco epulone non si ritrovò all’inferno per il semplice fatto di essere benestante ma perché, pur essendolo, non volle soccorrere il misero Lazzaro: c’è una bella differenza. La storia della cristianità è piena di esempi di santi che furono davvero dei potenti sulla terra ma che si servirono del potere al fine di rendere gloria a Dio, costruendo stupendi luoghi di culto e aiutando i più bisognosi. Francesco ed i suoi seguaci sceglievano sì la povertà personale ma pretendevano lo splendore degli altari, come atto d’amore verso il cielo. Emblematica, a tal proposito, risulta l’apparizione della Vergine del Buon Rimedio a San Giovanni de Matha, fondatore dell’ordine trinitario. Maria avrebbe consegnato al santo un sacchetto di monete d’oro da impiegare per il riscatto dei fedeli cristiani resi schiavi dai turchi.