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Sono trascorsi 110 anni dagli eventi che condussero alla Prima Guerra Mondiale e, guardando l’attualità, ci viene la tentazione di pensare che la politica contemporanea stia percorrendo le stesse strade.

 

 

 

 

Ricorre alla nostra memoria la nota formula di Carl von Clausewitz, per il quale “la guerra è continuazione della politica con altri mezzi”. Se questo è vero, e a meno che non si tenti di estirpare la politica dalla nostra società, non si può escludere che l’uso della forza resti sempre nel novero delle possibilità.

Siamo all’indomani dell’elezione dei nuovi vertici dell’Unione Europea e non possiamo dimenticare che questa istituzione politica innovativa ha assolto, per 70 anni, allo scopo di evitare guerre fratricide tra i suoi membri Ma, appunto, al suo interno, non all’esterno. Le forze armate europee, infatti, sono state impegnate in missioni in tutto il mondo. Si pensi, in particolare, alla Francia che ha moltiplicato i suoi interventi militari, negli ultimi trenta anni, inclusa la lunga guerra d’Algeria.

Noi Europei abbiamo finito per dimenticare ciò che accadeva al di fuori dei confini dell’Unione: come se non ci riguardasse minimamente. Non abbiamo preso in seria considerazione i tragici eventi della Jugoslavia, tra il 1991 e 1995, e non abbiamo seriamente valutato i risvolti della nuova politica russa, culminati con l’invasione della Crimea nel 2014.

Come è stato scritto da uno storico contemporaneo, noi eravamo “viziati dalla pace” ed eravamo convinti che, dopo il 1945, quel rischio era stato definitivamente abbandonato.

La situazione attuale, comunque, è molto diversa rispetto a quella del 1914: allora i leader sottovalutarono i rischi della guerra che era alle porte; oggi si ha piena consapevolezza che le guerre “locali” possano estendersi ai territori circostanti ed oltre.

L’unica analogia potremmo rintracciarla nel fatto che, prima dell’invasione dell’Ucraina, tutti gli analisti sostenevano che la Russia non l’avrebbe mai fatto, perché “sarebbe stato irrazionale”, così come le cancellerie europee affermavano prima dello scoppio della Grande Guerra.

In realtà tutti i sostenitori dell’irrazionalità della guerra dimenticano che le logiche belliche sono estranee alla logica della pace, così come al calcolo razionale dei costi e benefici.

Le società europee, che si stanno risvegliando dalla “pace perpetua e duratura”, dovranno anche comprendere che le società occidentali, caratterizzate da un alto “livello di pacificazione” si troveranno di fronte alle società orientali, dove il valore della pace e della vita sono profondamente differenti.

Ogni errore di giudizio sulla guerra e sulla sua presenza costante nelle nostre vite e quindi sul suo essere sempre possibile, costituisce un errore capitale sul nostro modo di vivere e di guardare al futuro dei nostri Paesi.

È giunta al termine la stagione nella quale si poteva vivere dei “dividendi della pace”, ma, convinti degli immani disastri della guerra, per questa generazione ed anche per quelle future, se ci resta un po’ di buon senso, non possiamo non lavorare per la pace stessa, a cominciare dagli ambienti in cui ognuno di noi vive e lavora.

 

 

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