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Spesso si corre il rischio di passare ignari accanto alla storia. È quello che può capitare al visitatore sbadato della chiesa dell’Ausiliatrice a Turi. In questo luogo è infatti custodita una commovente testimonianza della religiosità popolare pugliese. Anzi, una memoria in cui la fede semplice della nostra gente e il dolore profondo del nostro passato si sono come fusi. In quella chiesa si conserva, ancora oggi, il Sant’Oronzo degli americani.

Si tratta di una statua, forse di fattura non bellissima, realizzata a Lecce all’inizio del ’900 che ritrae il martire in una posa ieratica, con la mano levata a benedire ed i tipici paludamenti da vescovo tridentino: la testa mitriata, un pregiato rocchetto, l’ampio piviale, una larga stola, il pastorale in pugno. È una chiara riproduzione del simulacro venerato nella matrice. Il dato significativo è però che, attraverso di essa, anche Sant’Oronzo varcò l’Atlantico per raggiungere i suoi figli negli Stati Uniti.

Dalla fine del XIX sec. al secondo dopoguerra, l’estrema miseria e la speranza di un futuro migliore spinsero tanti turesi a salutare la Puglia per intraprendere il viaggio oltreoceano. Si vennero così a costituire delle folte comunità di emigrati originari di Turi nello stato del Connecticut, in quella che si avviava ad essere una delle zone più industrializzate del Nord Est americano: l’area tra le città di Bristol, Hartford, New Haven, Waterbury e Windsor Locks. Questa povera gente veniva a trovarsi in un contesto che le era del tutto estraneo ed è toccante il pensiero che, insieme alle foto dei familiari rimasti in Italia, portassero sempre in tasca anche un’immagine di Sant’Oronzo, il patrono del loro paese. Molti erano destinati, pure in quel nuovo mondo, ad una vita di sacrifici. Altri invece riuscirono a far fortuna come i fratelli Pasquale, Leonardo, Giovanni e Vito Colapietro che divennero imprenditori nel settore alimentare con la Windsor Locks Macaroni Company.

Ai fratelli Colapietro (o a persone loro vicine) si deve, secondo lo storico Mel Montemerlo, l’introduzione del culto di Sant’Oronzo in Connecticut. Dietro un tale volere vi era sì un profondo senso religioso ma anche il bisogno di costruire una realtà che rimandasse agli affetti lontani ed all’ambiente vitale dal quale si proveniva. A Bristol e dintorni sorsero dunque le Saint Oronzo Societies, delle vere confraternite che si occupavano di organizzare i festeggiamenti di fine agosto dedicati al santo e di rinsaldarne la devozione tra gli emigrati pugliesi. L’attività di questi sodalizi, soprattutto le pubbliche cerimonie di culto che ricalcavano quelle della madrepatria, suscitavano spesso, negli anni ’30, l’interesse di testate locali, come l’Hartford Courant o il Bristol Press. A catalizzare l’attenzione era però la statua del martire. Chissà quante preghiere, quanta sofferenza avrà raccolto mentre veniva portata in processione per quelle contrade, quanti ceri avrà visto ardere quando era intronizzata nelle chiese di St. Joseph o di St. Anthony a Bristol! Purtroppo, con lo scorrere dei decenni, il culto oronziano negli Stati Uniti si affievolì sino a scomparire. Le autorità americane, rigorosamente protestanti o massoniche e quindi ostili al Cattolicesimo, preoccupate dal proliferare di feste di quartiere importate dal sud Italia e desiderose di sradicare del tutto i nuovi arrivati dal loro paese d’origine, posero limiti sempre più severi alle manifestazioni religiose. Inoltre i discendenti delle prime generazioni di turesi giunti oltreoceano percepivano in maniera sempre più blanda il legame con la terra dei loro avi. Il nostro santo non venne più celebrato e, negli anni ’70, si decise addirittura di rimandare indietro la statua così amata che lo raffigurava. Tuttavia siamo certi che, anche se ormai sconosciuto, Sant’Oronzo continui a vegliare sui lontani nipoti dei suoi conterranei.  

Si ringraziano il dott. Egidio Buccino, archivista della Matrice di Turi, ed il dott. Paul Joseph Dinoia, residente a Bristol (CT-USA), per la gentilissima collaborazione.

 

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