Nel corso di questa nostra rubrica abbiamo già accennato a diverse fonti della letteratura oronziana.
Tra queste i DIPLOMI di Tancredi e Ladislao; le CRONACHE di Antonello Coniger; l'APOLOGIA PARADOSSICA di Jacopo Antonio Ferrari con le relative problematiche di lettura; il racconto agiografico contenuto nelle OPERE SPIRITUALI di mons. Paolo Regio; il DISCORSO di Peregrino Scardino e la HISTORIA DI SANTA IRENE di Antonio Beatillo.
Con le pagine di Giulio Cesare Infantino invece l'infanzia del culto oronziano giunge alla sua conclusione. Il nome di questo sacerdote leccese è ormai molto noto grazie alla pregevole opera di storia ecclesiastica locale che pubblicò nel 1634, la Lecce Sacra. Non si tratta di una raccolta agiografica ma, come afferma lo stesso sottotitolo dello scritto, di uno studio sull’origine delle chiese e dei monasteri della città, sulle reliquie che vi si venerano e sulle opere caritative che vi si compiono. La Lecce Sacra è dunque una miniera preziosissima di notizie per conoscere come il capoluogo salentino si presentasse ad inizio XVII sec. e, in generale, oggi viene considerata una fonte la cui autorevolezza è quasi fuori discussione. Essa dona quindi anche degli elementi notevoli per tracciare le coordinate entro cui la devozione al martire appulo si collocava pochi decenni prima della decisiva svolta di metà Seicento.
Un primo dato è offerto già dal frontespizio del testo che conserva sì in luogo preminente l’effigie di Sant’Irene ma affianca ad essa le immagini dei Santi Giusto ed Orontio. Il primo ancora in vesti di età apostolica, il secondo ritratto in maniera contemporanea, con abiti da presule tridentino. Nel corso dello scritto poi l’autore presenta un catalogo dei vescovi leccesi nel quale Orontio occupa il posto iniziale. Inoltre, trattando delle origini del duomo cittadino, connesse con la tradizione oronziana, non esita addirittura a definire Lecce una delle più antiche città cristiane d’Europa. Ma è soprattutto un esteso passo che risulta decisivo per la nostra indagine. Trattando dell’attuale Porta Napoli, l’Infantino afferma che essa «era anticamente chiamata Porta Romana: ora si chiama di San Giusto, o perché da questa se n’uscì fuori, alla volta di Roma, San Giusto di nation giudeo e di patria corinzio […] oppure perché fuori e poco lontano da questa porta fu poi martirizzato San Giusto, fondatore della Religione Cristiana in questa stessa città di Lecce insieme con Sant'Orontio primo vescovo di questa città, ove dopo il glorioso loro martirio furono edificate due piccole Chiese, l’una ad onor di Giusto; l’altra di Orontio, che ora appena se ne vedono le rovine. […] In una di queste due Chiese, cioè in quella di San Giusto, è tradizione antica che fossero stati seppelliti i gloriosi corpi di questi campioni di Cristo, sì che nell’anno 1616, essendo sindaco della città sua patria Sigismondo Rapanà, cittadino leccese, fece gran diligenza in questo luogo, per ritrovarli; ma a Dio non è piaciuto fin’ora, che questo sì prezioso tesoro si manifesti a noi. Io ritrovo in un manoscritto che Francesco Del Balzo duca d’Andria offerse alla città di Lecce i corpi di Santa Irene sua protettrice, di Giusto e di Orontio, sapendo bene egli dov’erano riposti, anche se poi o per pigrizia dei leccesi, o per voler divino non la cosa non andò ad effetto. Il dottor Giacomo Antonio Ferrari gentiluomo leccese in una sua storia manoscritta stima, che essendo stata la città di Lecce posta a sacco al tempo che era conte di Lecce Ugone di Brenna, fossero stati rubati, citando altri di diverso parere, i quali vogliono, che fossero nascosti dal vescovo, che all’ora v’era con molte ricchezze della propria Chiesa di Lecce, delle quali poi con la morte di quel vescovo non si è potuto avere notizia alcuna». Analizzeremo nella prossima puntata questo interessantissimo passo.