Pubblichiamo il testo integrale dell’indirizzo di saluto all’arcivescovo pronunciato dal vicario generale della diocesi mons. Luigi Manca all’inizio della Messa del Crisma ieri sera in cattedrale.
Ecc.za rev.ma, stiamo per vivere, insieme con lei, la liturgia della Messa Crismale, con la quale entriamo nel cuore stesso della Settimana Santa, pregustando i frutti della Pasqua del Signore Gesù. Fra poco avremo dinanzi all’altare, portati processionalmente dai nostri diaconi, gli oli dei catecumeni e degli infermi da benedire e il crisma da consacrare, la materia prima di quelle fonti energetiche della vita cristiana che sono i sacramenti della salvezza, di cui lei Padre carissimo, insieme con tutto il suo presbiterio che siamo noi, è il custode e il dispensatore.
Nel giro di due anni la nostra storia ha subito dei cambiamenti molto bruschi e drammatici: prima la pandemia e ora la guerra alle porte di casa nostra con l’invasione russa dell’Ucraina e il martirio di un popolo. È molto difficile vedere la storia oggi come storia di salvezza. Continua ad esserci il rischio per noi credenti di continua-re a celebrare i sacramenti come puri riti per conservare un’identità, quella di cristiani appunto. In verità questo rischio è presente da diversi decenni nelle nostre comunità. Una vita sacramentale spesso ridotta a prassi sociale, senza l’anelito della salvezza, senza riversare nella vita sociale le ricchezze spirituali di cui i sacramenti sono fonte.
L’improvviso senso di precarietà e fugacità della vita terrena che l’emergenza della pandemia e della guerra ha riportato nell’animo delle persone rischia di sfociare in uno stato di angoscia e frustrazione collettiva. Spronati da Papa Francesco, dobbiamo manifestare il volto misericordioso della Chiesa, che si pone accanto all’umanità sofferente e smarrita, ne cura le ferite e indica la presenza del regno di Dio anche nelle contraddizioni più assurde della malvagità umana. In questo contesto è importante alimentare il desiderio dei sacramenti unitamente al desiderio della fede con la missione dell’annuncio. Siamo stati convocati a intraprendere un’esperienza inedita per la storia della Chiesa degli ultimi decenni: un cammino sinodale, il cui obiettivo è quello di portare il Vangelo nel cuore delle persone e le persone nel cuore della Chiesa.
Noi presbiteri dobbiamo vincere la tentazione della pastorale di “routine”, condizionati dal solito calendario di cose da fare, a volte pesante, faticoso, da cui raccogliamo le nostre quotidiane gratificazioni e delusioni. L’impegno che prende molto del nostro tempo è sicuramente la preparazione e l’amministrazione dei sacramenti, che spesso non producono gli effetti che noi speriamo. Infatti, la preparazione spesso non è richiesta ed è solo subita soprattutto dagli adulti e l’amministrazione dei sacramenti quasi sempre avviene dentro una cornice di esteriorità e di emotività che nulla a che fare con il mondo della fede e della spiritualità. L’aspetto della nostra pastorale che forse maggiormente ci conforta è la dimensione caritativa, lo spirito di solidarietà che, come Chiesa diocesana e comunità parrocchiali, manteniamo alti. Ma anche questo aspetto viene percepito come espressione di generosità, di umanità, ed è già tanto, ma non come risposta della fede dei cristiani. Non dimentichiamo mai che l’attenzione agli ultimi è nata dalla fede dei cristiani ed era del tutto sconosciuta nel mondo pagano.
Allora che cosa siamo chiamati a fare come pastori di comunità? Ce lo dice la liturgia odierna. Ci dice chi siamo da dove veniamo come presbiteri e come battezzati attraverso le promesse sacerdotali, il sacro crisma; l’odierna liturgia ci dice cosa dobbiamo fare attraverso la materia dell’olio dei catecumeni e degli infermi: formare alla fede e curare, curare ogni forma di infermità, di fragilità, di povertà. Il fatto poi che questa celebrazione prevede la concelebrazione di tutto il presbiterio, sta a dirci come tutto questo noi dobbiamo fare in piena, convinta e gioiosa comunione con il nostro vescovo, che rimane la garanzia oggettiva che ciascuno di noi quando agisce da pastore agisce in persona Christi.
Che questa celebrazione suggelli profondamente la voglia di una comunione rinnovata e ringiovanita con lei nostro padre, fra noi presbiteri e con le nostre comunità.