Quello sull'uso o meno dei telefoni cellulari a scuola è un dibattito che, prima ancora di essere tecnologico e di riguardare i ragazzi, dice molto di noi adulti.
Dietro la volontà, per molti versi sacrosanta, di creare spazi educativi liberi dagli smartphone, si nascondono infatti anche altre cose. La prima: davanti al digitale molti adulti vanno in crisi;
non sanno muoversi, si sentono obsoleti.
Se ci pensate è solo da quando esiste il digitale che il sapere non è più appannaggio dei grandi. Anzi, sempre più spesso quelli che un tempo sarebbero stati i "maestri" dai quali i "garzoni di bottega" dovevano rubare i segreti del mestiere, oggi davanti alle novità tecnologiche recedono a ruolo di ragazzini un po' zucconi. E si sa, chi fa fatica a capire si chiude in difesa. Vieta.
La seconda cosa che questi dibattiti rivelano di noi adulti, è la fiducia che abbiamo nei ragazzi. Che è legata a doppio filo alla nostra paura di sbagliare. Sia quando usiamo le cosiddette nuove tecnologie, sia nel nostro compito di educatori.
Temiamo infatti che quei piccoli oggetti dallo schermo fluorescente, con dentro oltre quaranta oggetti - musica, libri, notizie, film, tv, macchina fotografica - ci facciano perdere la fiducia in noi stessi o nelle nostre capacità educative, nel valore della maggior parte dei ragazzi.
Certo, se pensiamo solo alle lotte che molti professori devono fare per ottenere l'attenzione degli studenti, e far rispettare un uso civile degli smartphone a scuola, verrebbe spontaneo chiudere tutto. Ma farlo significherebbe anche espellere, da uno degli ambienti educativi per eccellenza, uno strumento ormai centrale nella vita di tutti. Sappiamo bene che senza cellulare nelle scuole qualunque atto di cyberbullismo sparirebbe da quegli ambienti, rendendo la vita di alcuni professori indubbiamente più semplice, ma così facendo i ragazzi sarebbero lasciati ancora più soli nel loro cammino per diventare dei cittadini digitali consapevoli.
Per crescere occorre includere, non escludere. E servono tutti: cellulari, scuola, educatori, ragazzi e genitori. A patto che quest'ultimi per primi diano il buon esempio.