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C’è un silenzio assordante: quello dei bambini, quelli mai nati, ma concepiti, quelli uccisi. Bambini figli di una società malata, ricca, opulenta, decadente, o povera, abbandonata, scartata.

 

 

 

 

E nel chiasso marasmatico delle guerre in corso, dove tanti bambini nella loro innocenza, perdono per sempre il futuro, nel quale pure noi adulti speravamo, un futuro troncato per sempre, nell’indifferenza dei potenti di turno, rimaniamo fermi a osservare impotenti le contraddizioni di un quotidiano tossico.

Tutti siamo rimasti inorriditi dai delitti di Traversetolo, vicino Parma. Una giovane donna a distanza di un anno, uno dall’altro, ha soppresso i suoi due figli, dopo averli partoriti e due giorni dopo è partita con la famiglia in vacanza in America, con la leggerezza di chi ha compiuto un’azione “normale”, forse giusta per lei, a sua “misura”. Ha “scartato” un ingombro di qualcuno o forse meglio “qualcosa” che non ha valore, da non mostrare, da sopprimere.

Nessuno giudica nessuno, a quello ci penserà la giustizia. Non è questo il luogo per esprimere un giudizio sulla persona, sulla sua complessità psicologica.

Lo stigma però è capire, andare a fondo nelle cose, entrare nelle logiche di un sistema pieno di contraddizioni che piano piano sta erodendo la società, la sta rendendo non solo sterile fisicamente, ma anche psicologicamente e moralmente.

A nulla serve indignarsi per un delitto così efferato e innaturale, se la notizia poi “passa” come le altre, sedimentando l’orrore, in una sorta di “abitudine” al macabro. Ci fa sensazione che una madre, che pure ha generato i suoi figli, li abbia poi soppressi; bimbi senza nome, senza volto, senza speranza, con un futuro negato, lo stesso futuro negato ai tanti bambini abortiti, scartati.

Viviamo una “carestia” dell’amore che mal si coniuga con la consapevolezza del valore della vita in sé quale dono, bellezza del miracolo che si compie ogni giorno nella natura.

Anestetizzati (parola tanto cara a Papa Francesco), eppure ossessionati dall’iperattivismo, alla ricerca continua dell’approvazione sociale. Siamo frutti di una società incapace di coerenza o forse coerente fino in fondo nell’ipocrisia…

L’iperconnessione, l’esaltazione della realtà virtuale e l’esposizione continua a modelli non sempre positivi alimentano uno stato di fragilità ed insicurezza, rendendoci sempre più connessi ma sempre più soli nella realtà.

In alcuni casi, l’allontanamento dalla realtà si traduce in un vero e proprio allontanamento volontario sociale. In questo isolamento si consumano le tante solitudini di donne, ragazze, con le loro problematiche, con i loro dubbi o false certezze. Ragazze che, non trovando risposte concrete o semplicemente di ascolto adeguato e competente, trovano la via a volte facile, ma più spesso sofferta e dolorosa, di sopprimere i propri figli, concepiti o nati, perché differenza non fa.

Problemi complessi, per realtà complesse. E allora facciamo sentire la nostra voce, dando voce a chi quella voce viene negata, proponendo un’alternativa, che non è mera speranza, ma un progetto educativo serio e competente, un progetto che dica sì alla vita, per il fatto stesso che esiste.

Fondamentale è il riconoscimento e la valorizzazione di una società che sia educante in un approccio sistemico strutturato, che sappia entrare consapevolmente e con competenza nelle varie complessità. Una società che si occupi e si preoccupi del rispetto della vita, trasversalmente intesa dal concepimento sino alla sua fine naturale, in uno spirito che ponga alla base i valori della collaborazione, della reciprocità, dell’accoglienza e della cura per riconoscere se stessi e gli altri come dono unico e irripetibile.

Essere generativi non è solo possibilità di generare, ma è “pensare” e “fare” perché la cultura della possibilità generativa diventi rispetto della vita generata.

 

*Cav - Centro di aiuto alla vita (Lecce)

 

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