Lo scorso 2 dicembre l’arcivescovo Michele Seccia ha ricordato il quinto anniversario del suo arrivo nella Chiesa di Lecce. Il primo lustro di un cammino fortemente segnato dagli anni della pandemia che ha limitato, e non poco, anche l’azione pastorale della diocesi e di tutte le comunità parrocchiali.
Tant’è che l’arcivescovo aveva già annunciato nel febbraio del 2020, nel giorno del Mercoledì delle Ceneri, la sua prima Visita Pastorale (LEGGI) che sarebbe dovuta iniziare nella prima domenica d’Avvento successiva. Ma, pochi giorni dopo scattava il lungo lockdown che avrebbe condizionato per oltre tre mesi la vita di tutti.
Oggi che la pandemia sembra ormai sotto controllo (anche se le notizie dalla Cina non lasciano dormire sonni tranquilli) anche la vita ecclesiale si è riappropriata della sua normalità.
Alla fine del 2022 con mons. Seccia proviamo a tracciare il bilancio di un anno che lascerà molti segni nella storia soprattutto per via di quella che Papa Francesco (ed è l’unico a ripeterlo in continuazione) ha “battezzato” come “la terza guerra mondiale”,
Eccellenza, che anno è stato?
Le grandi questioni nazionali e internazionali preferisco lasciarle al lavoro degli analisti e dei politici. Noi Chiesa - come invoca sempre il Santo Padre - abbiamo solo l’arma della preghiera per provare a chiedere con insistenza al Cielo il dono della conversione degli uomini e delle donne. Di quelli che hanno in mano le sorti del pianeta come di tutte quelle persone che nel loro piccolo determinano il percorso della storia. La guerra in Ucraina non promette nulla di buono non solo perché è molto vicina a noi geograficamente (a noi Chiesa di Lecce ancor di più per via della missione del nostro don Cesare Lodeserto in Moldavia, Paese che vive l’incubo dei bombardamenti a pochi chilometri dal confine), ma soprattutto perché le conseguenze di quel conflitto le stanno pagando i poveri e quelle famiglie che presto saranno povere per via dell’aumento generale del costo della vita.
A cosa è chiamata la Chiesa di Lecce di fronte a questo dramma che sembra non avere fine, anzi a peggiorare?
È da tre anni ormai che siamo in prima linea - non che prima non lo fossimo - nella lotta alla povertà e siamo davvero sfiancati dalle continue richieste di aiuti. Grazie al Cielo la Provvidenza non ci ha mai abbandonati. E nemmeno la speranza di una soluzione che metta pace e faccia ripartire la macchina dello sviluppo. Ogni giorno, nel silenzio, la Caritas diocesana con l’Emporio e gli altri servizi, le mense parrocchiali, la Casa della Carità con le diverse forme di accoglienza e i pasti caldi, le Caritas parrocchiali, i tanti movimenti ecclesiali… svolgono un lavoro encomiabile. Non distribuiscono benessere - non hanno la forza e nemmeno le risorse che, anche per noi tendono a diminuire -, ma provano a offrire il necessario per sopravvivere a centinaia di persone italiane e straniere che, nel numero aumentano sempre più. Certo ci piacerebbe offrire a tutti un tetto, saremmo felici di poter pagare le bollette di tutti coloro che bussano, a sostenere i viaggi della speranza… ma non sempre è possibile. E questo per un vescovo è sempre motivo di tristezza.
Ci sono degli obiettivi raggiunti, qualcosa di cui rallegrarsi alla fine di questo anno, nonostante i problemi che incombono?
Ce ne sono davvero tanti, ricordarli tutti ed elencarli sarebbe davvero un’impresa. Mi piace fare memoria di tre momenti importanti: la chiusura del Giubileo Oronziano, la bella accelerata che è stata data al Cammino Sinodale nella fase diocesana e la riapertura del Centro mediterraneo di cultura e pastorale “Giovanni Paolo II”. Celebrare i duemila anni della nascita del nostro santo patrono, primo vescovo di Lecce, ha permesso di ritornare alle radici della nostra fede ma ci ha concesso anche l’occasione per dare respiro alla ricerca storica sulle origini della Chiesa di Lecce. Il Sinodo “dal basso” voluto da Papa Francesco ci sta restituendo il senso e la necessità del “camminare insieme”, lasciando da parte le divisioni e il chiacchiericcio che tanto male fanno alla comunione che è la vera sostanza della Chiesa. E, poi, l’omaggio all’arcivescovo Ruppi: riaprire l’ex nuovo seminario - l'opera più imponente che ha lasciato in eredità alla nostra diocesi - per farlo diventare sede dell’Istituto superiore di scienze religiose ma soprattutto Centro di cultura e spiritualità, luogo in cui la Chiesa di Lecce, clero e laici, possano ritrovarsi per riflettere, progettare, pregare… è stato per me, al di là degli sforzi compiuti dalla diocesi, un atto di doverosa gratitudine ad un pastore illuminato, mio predecessore a quale, come sanno tutti, resterò per sempre legato.
Non c’è altro?
Certo, c’è tanto altro: incontri, volti, storie semplici che non fanno rumore ma che hanno segnato la mia vita. Ovviamente non posso non citare tra le cose belle del 2022 la dichiarazione di Venerabilità del caro don Ugo De Blasi: vanto e orgoglio della Chiesa di Lecce che è santa grazie agli uomini e alle donne che ci hanno preceduti e che hanno preso il vangelo sul serio. Accanto a don Ugo, a San Filippo, ai Venerabili Fra Giuseppe Ghezzi e Suor Santina De Pascali, ai Servi di Dio, ancora oggi vive tanta santità. Persone semplici che, spesso, nella sofferenza e nel sacrificio offrono tutto al Signore. Grazie anche a loro la nostra Chiesa continua a profumare di santità. E poi, un altro evento che è mio, personale ma che è di tutta la diocesi: il mio XXV di episcopato. Con voi ho reso grazie al Signore, per voi mi sono affidato alla sua misericordia e a Lui ho chiesto di continuare a benedire i nostri passi di Chiesa in cammino.
Eccellenza, tornando al Sinodo, in che modo il cammino sinodale ha segnato il 2022 della Chiesa di Lecce? Quali i passi compiuti e cosa succederà nel nuovo anno considerata la concomitanza con l'avvio della visita pastorale?
Il cammino sinodale è stata "l'occasione" che ci è stata data di riprendere il cammino ecclesiale dopo la pandemia. Un percorso virtuoso che acquista la dimensione essenziale del “camminare insieme” facendoci accompagnare dalla presenza del Risorto che resta e cammina con noi sempre. Ci è stata data la possibilità di ascoltarci, di lasciarci ascoltare, di ascoltare. E in questo modo, nelle tante occasioni, nei tanti appuntamenti, nei tanti luoghi, non solo parrocchiali, ma soprattutto quelli del vivere e dell'impegno quotidiano di tanti, si sono create occasioni di incontro, di ascolto, di conoscenza reciproca, di confronto, talvolta anche dialettico... e ci siamo ritrovati come le "dodici tribù" che oggi stanno facendo l'esperienza dell'Esodo. Del passaggio, come dice Papa Francesco, da un’epoca a un'altra. Nella consapevolezza che questa è tutta da scoprire come da scoprire è stata per gli ebrei la terra promessa nella quale soltanto e, a fatica, si sono riconosciuti popolo. Abbiamo vissuto solo la prima tappa del cammino sinodale. La strada continua. In questo nuovo anno saremo guidati dalle proposte dei Vescovi italiani che con i “Cantieri di Betania” ci offrono la possibilità di metterci in dialogo con i nostri territori per scoprirne la ricchezza, le storie che in essi si costruiscono e che possiamo e dobbiamo costruire insieme. In questo ci aiuterà anche il prossimo convegno diocesano, nella prima settimana di Quaresima, che avrà come tema di fondo la riscoperta del volto della parrocchia nel terzo millennio.
Restando alle parrocchie, ci dica, superati i limiti imposti dalla pandemia, con quale slancio è ripartita la pastorale nelle comunità? Cosa manca nella nostra diocesi perché si passi da un'azione incentrata sulla liturgia e i sacramenti ad una pastorale che incida in maniera significativa nella vita delle persone e delle famiglie?
Il desiderio di ripartire è grande e tutti siamo coscienti che non si può ripartire da dove eravamo rimasti. Ma è facile fare le analisi a tutti i livelli e poi? La fatica dove la mettiamo? Dò atto ai parroci, alle tante associazioni e movimenti, ai diversi uffici di Curia dei tanti tentativi e sperimentazioni poste in essere. Come è doveroso prendere coscienza che non esistono ricette valide per tutti. L'unica valida è quella che ci viene da Gesù che ha annunciato e donato l'amore del Padre scegliendo di vivere la prossimità liberante che sola genera relazione e può far nascere o rinascere la fede nei singoli e nelle famiglie. Per fare questo qualche strumento antico ci resta ancora. Bisogna cominciare a suonarlo in maniera diversa... Liturgia, anche la pietà popolare, che sia vera esperienza del Signore della vita. Catechesi che sia luogo di evangelizzazione dei ragazzi e soprattutto occasione di evangelizzazione delle famiglie nelle tante occasioni nelle quali si ha la possibilità di incontrarle. Recuperare quella che una volta si chiamava la pastorale di ambiente. La scuola, l'università, lo sport, i luoghi di lavoro... lì deve andare l'impegno pastorale. Ma il punto di ripartenza essenziale è il coraggio di cambiare e varcare il Giordano come l'antico popolo di Dio.
Grazie eccellenza. Della sua Visita Pastorale avremo modo di parlare più a lungo in altre occasioni. Per il momento, grazie e… Buon anno.