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È con profonda letizia spirituale che rivolgo i miei fraterni auguri a mons. Michele Seccia in occasione del suo XXV anniversario di consacrazione episcopale.

 

 

Con lui, rendo grazie a Dio per questi venticinque anni di fedeltà alla chiamata del Signore e al lavoro compiuto al servizio del vangelo. Fedeltà che scaturisce dalla gioia di essere con Cristo pastori e padri.

Sì, pastori, ma pastori che profumano di gregge. «I sensi sono i messaggeri della realtà», dice sant’Agostino riecheggiando Cicerone (Tractatus in evangelium Iohannis, 99,4, da De natura deorum 2,140), veicoli di comunicazione e indispensabili alla vita. È memorabile, a tal proposito, l’intervento di Papa Francesco in occasione del Giovedì Santo, il 28 marzo 2013, pochi giorni dopo la sua elevazione al pontificato. Nella messa del Crisma il Santo Padre fece emergere «il desiderio della nostra gente di essere unta con l’olio profumato» con il quale sono unti i sacerdoti, e ha accostato il «profumo del crisma» al «profumo delle pecore». Poi ha supplicato i ministri ordinati: «Io vi chiedo: siate pastori con l’odore delle pecore!». Un’immagine suggestiva per invitare a non essere pastori qualunque, ma pastori che operano con il cuore stesso di Cristo, il cui «buon odore» si effonde e si propaga dai semplici e preziosi gesti di prossimità (cf. 2Cor 2, 14-16).

L’essere pastori, però, si esprime nella forma propria della paternità. Mi piace ricordare che ai vescovi, nel giorno dell’ordinazione, prima dell’imposizione delle mani, è rivolta questa precisa domanda: «Volete prendervi cura, con amore di padre, del popolo santo di Dio e con i presbiteri e i diaconi, vostri collaboratori nel ministero, guidarlo sulla via della salvezza?». Nella risposta affermativa a quella domanda è contenuta tutta l’adesione della personale libertà, lucidamente consapevole dei propri limiti, alla straordinaria vocazione che è stata rivolta. Essere “padri” di tutto il popolo di Dio significa non smarrire mai la consapevolezza che la paternità del Vescovo non è questione di mera elezione esclusiva, ma affonda le proprie radici nella stessa paternità di Dio, il quale, in Cristo Gesù, ha rivolto universalmente la Sua Parola ultima e definitiva all’uomo, rivelandosi, appunto, come Padre. Ad imitazione dell’Amore del Padre, quindi, il Vescovo è chiamato, nei confronti di tutti, ad un’attenzione costante, ad una sollecita vigilanza, ad un’autentica “tensione”, ad una generosa cura, perché ciascuno si senta partecipe, presente, importante e valorizzato, nell’unica comunità della quale il vescovo stesso è padre.

Pastore e padre, allora, sono le due coordinate entro le quali si è dispiegato il ricco e prezioso ministero del carissimo arcivescovo Michele. Personalmente ho sempre apprezzato quella apertura di cuore e quella generosità che contraddistinguono il suo tratto amabile e cordiale. Innamorato della Parola che salva e sempre vicino agli ultimi, mons. Seccia ci ricorda, anche in questa sua festa giubilare, che «tutta la nostra speranza - come scrive Agostino - è in Cristo; egli è tutta la nostra gloria, gloria vera e salutare» (Sermo, 46,1).

*arcivescovo di Otranto e presidente della conferenza episcopale pugliese

 

 

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