La guerra in Ucraina non finirà domani ma è probabile che il culmine della crisi si stia verificando proprio in queste ore.
Nel giro di una manciata di giorni, una serie di avvenimenti segna una fase importante del conflitto, come il presidente Putin che annuncia alla Nazione di voler mobilitare parzialmente le riserve e i filo-russi che indicono un referendum per l’annessione di quattro regioni ucraine. Per Alessandro Politi, direttore del Nato Defense College Foundation, siamo di fronte a un momento di crisi che non andrebbe accompagnato da manifestazioni di tifo: “Il mondo deve affrontare emergenze che mettono a rischio la sopravvivenza della razza umana e c’è chi crede ancora alla guerra come normale strumento”.
Putin annuncia la mobilitazione parziale. È un segnale di escalation?
Si è sempre detto che il potenziale umano russo fosse illimitato, ma è una vecchia leggenda che va avanti dal 1914. Da decenni la Federazione russa e tutto l’Est Europa affrontano una profonda crisi demografica. Putin ha iniziato la guerra con una parte delle forze armate che non ha mai avuto una netta superiorità numerica rispetto agli ucraini; per mezzo anno ha mantenuto l’iniziativa con armamenti superiori, ma nel frattempo ha raschiato il barile dei richiamabili. A questo punto vedremo quanto sono estesi i fenomeni di renitenza alla leva. Certo, se alcuni Paesi non avessero bloccato i visti turistici, avrebbero facilitato una quota di possibili renitenti.
A che punto siamo nella guerra in Ucraina?
Siamo al punto culminante. Non è una svolta, ma è un momento di crisi. Non è certo il momento di un tifo da stadio che si vede in certi dibattiti sui social; quando la gente muore bisogna avere un’attenzione a restare umani. Certo che la guerra genera odio e l’odio polarizza, ma questo è comprensibile per i belligeranti, non per chi, fortunatamente, non è dentro il conflitto. Alcune dinamiche polarizzanti in certi paesi dell’Europa dell’Est rispolverano idee vecchie degli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, come se andassero regolati dei conti col passato; è un fenomeno spiegabile, ma politicamente inutile e pericoloso per la stabilità nel continente. Questa guerra è stata un disgraziato errore ed il moto di revulsione, in quanto guerra ed al di là delle differenze politiche, in Europa è un segno di civiltà: il mondo deve affrontare emergenze che mettono a rischio la sopravvivenza della razza umana e c’è chi crede ancora alla guerra come normale strumento. Logica, intelligenza e civiltà umana richiedono che la si tratti come una pericolosa epidemia.
Nelle ultime due settimane pare che la controffensiva ucraina stia recuperando.
È evidente che Putin abbia subito un serio sfondamento e che sia in crisi, ma la guerra è difficile: una volta che i russi si sistemeranno a difesa sarà difficile spostarli e se il clima non cambia, nella regione, arriveranno le piogge ed il fango autunnale che complicheranno i movimenti. Al di là della facile propaganda, a Putin interessa cosa pensano il cerchio di potere che lo circonda e quanto passivo o convinto sia il resto della popolazione. Gli ucraini hanno liberato solo una limitata parte di territorio anche se in modo spettacolare; lo stesso Zelensky invita alla prudenza. Adesso sarebbe utile che le parti cominciassero a trattare, sia pure sottobanco, perché a ben guardare i danni che hanno subito, è nel loro reciproco interesse.
È plausibile pensare che abbiano iniziato a incontrarsi?
Le parti sono arrivate a un punto di crisi e il punto di crisi o si supera o si collassa. Ci sono trattative dirette fra gli americani e i russi per la gestione degli ostaggi reciproci, che non sono sotto i riflettori della stampa. Obiettivamente questa guerra rischia di rovinare definitivamente il potenziale di ripresa ucraino.
La vittoria infatti è solo uno strumento, è il domani della pace che conta.
Da un lato l’Europa ha una serie di difficoltà economiche crescenti dal 2006 e non è detto che al dunque abbia i soldi necessari per la ricostruzione. Dall’altro anche i prestiti del Fondo monetario internazionale (Fmi) non sono a fondo perduto. L’Ucraina sta ora impiegando tutto il suo potenziale umano, i rifugiati sono nell’ordine di milioni e questo conta per la ripresa della pace. I russi, anche calcolando un effetto delle sanzioni più ridotto su parametri Fmi, non sono in una situazione migliore e la loro demografia è un disastro pari a quello ucraino.
Nei prossimi giorni ci saranno dei referendum indetti dai filo-russi pro-annessione nelle quattro regioni ucraine del Donbass, Kherson, Lugansk e Zaporizhzhia.
È un modo di creare di fatto una situazione difficile da sbrogliare. I referendum sono effimeri, ma è chiaro che complicano moltissimo il negoziato perché, anche seguendo la logica aggressiva di Putin, bisogna chiedersi come ne uscirà. A Samarcanda (al summit dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, ndr), dove il parere dei partner conta, i cinesi hanno detto che sono preoccupati. Putin certamente non è isolato ma l’altra parte del mondo gli ha espresso chiaramente le sue perplessità sulla guerra, dietro le cortesie diplomatiche. Al contempo, il monito pubblico di Biden a non usare le armi atomiche complica le cose perché nella dissuasione non sempre serve parlare ai media, perché si creano reazioni politiche pubbliche che possono complicare la gestione della crisi e non risolverla. Se pensiamo a quanta manipolazione interna ed esterna passa attraverso le opinioni pubbliche nei paesi democratici, capiamo la delicatezza della situazione: un monito dietro le quinte è più gestibile di uno pubblico.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si dice convinto che il presidente Putin “sia disposto a porre la fine alla guerra al più presto possibile”. Possiamo credergli?
Se un politico mente si fa presto a scoprirlo, se dice la verità è necessario un po’ più tempo. La mossa di dichiarare i referendum non facilita le trattative e nemmeno la mobilitazione parziale. Anche Zelensky aveva detto in estate che verso ottobre l’offensiva russa non avrebbe retto e che sarebbe stato il momento di trattare. Speriamo che nel segreto vi siano dei contatti concreti. Ovviamente gli ucraini vogliono il rispetto del memorandum di Budapest firmato dalla Russia democratica, Stati Uniti e Regno Unito, dove si ribadiva l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale della Nazione. Se però questioniamo le frontiere a colpi di cannone, vuol dire che tutte i confini in Europa possono essere rimessi in discussione. Quando si crea un precedente bisogna stare attenti, infatti sulla Bosnia-Erzegovina l’Europa è stata molto attenta. Ogni volta che nel mondo c’è stata una violazione del diritto internazionale, riparare è molto complicato.