È una triste vicenda, quella accaduta a Cosenza. Una neonata rapita con l’inganno. Una città che si mobilita esprime per come può la sua vicinanza sui social o stazionando in attesa davanti alla clinica.
L’impegno delle forze dell’ordine che con estrema lucidità si danno da fare. Chi non è in servizio rientra per dare una mano ai colleghi. Iniziano le dirette televisive e il relativo tam tam tra amici e conoscenti. Dopo quattro ore, la neonata viene ritrovata dalla polizia in casa della coppia che l’aveva portata via proprio mentre stava festeggiando l’arrivo di un nuovo nato.
Nella finzione si celebrava l’arrivo di un maschietto atteso, annunciato ad amici e parenti, tutti convocati per la festa, tutti ignari di quanto accaduto. Dopo il ritrovamento, la riconsegna della piccola alla madre che ha definito la vicenda “una vera e propria morte e poi una resurrezione”. Ancora lacrime, questa volta di gioia. Scene di grande tenerezza che hanno spinto il questore Cannizzaro a dire che in quella notte tutti hanno sentito quella bambina come “una loro figlia”.
Dietro questa vicenda resta il dramma di una coppia già vittima – avrebbero confessato – di alcune gravidanze erano finite male; che avrebbe pianificato tutto, dalla sottrazione di un neonato alla festa, dal fiocco azzurro al portone e dolcini alle bomboniere e ai vestititi, e finanche il nome: Hansel.
Un nome che inevitabilmente ricorda la fiaba, ambientata nella foresta della Germania, dei due bambini abbandonati e poi imprigionati con l’inganno da una strega. Anche la piccola Sofia era stata portata nella casa di una cittadina vicina e, suo malgrado, festeggiata come un maschietto, come un “dono di Dio” (questo il significato del nome). Ma quella felicità, a dir poco incomprensibile, per una vita (derubata) aveva tolto la gioia e la speranza ad altri giovani genitori. Come si può arrivare a credere di avere un figlio, dopo averlo sottratto, costruendo su una menzogna la storia di una vita nuova?
Fra pochi giorni si celebrerà la 47ª Giornata mondiale della vita. Cuore del messaggio la presa di coscienza che “trasmettere la vita è speranza”. La particolare espressione di fiducia nel futuro è proprio la trasmissione della vita, hanno scritto i vescovi, ricordando che senza questo dono “nessuna forma di organizzazione sociale o comunitaria può avere un domani”.
La maternità è sempre un dono, mai un possesso, “è un progetto del Creatore - proseguono i vescovi - inscritto nel cuore e nel corpo degli uomini e delle donne una missione che il Signore affida agli sposi e al loro amore”. Senza questa dimensione di compartecipazione ad un progetto più grande si può cadere nella tentazione dell’egoismo, del possesso, che può inquinare ogni ambito della vita, finanche la gioia incommensurabile che l’arrivo di un bambino può portare dentro una famiglia, dentro le mura di casa, perché ogni nuova vita è “speranza fatta carne”. Ma è speranza solo se è rientra nella categoria del dono.
Un dono non ricevuto. Una vita sottratta non può mai portare speranza, apre solo la strada verso un precipizio di disperazione che porta dolore e pianto.