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Giovedì 8 novembre, alle ore 18,30, si terrà a Lecce presso il salone dell’Episcopio un incontro promosso dal Meic (Movimento ecclesiale di impegno culturale), dall’Azione cattolica e dal Rotary dal titolo “Rosario Livatino: operatore del diritto, uomo di fede”.

L’incontro approfondirà la figura del giudice in occasione della chiusura della fase diocesana del processo di beatificazione, avvenuta il 3 ottobre ad Agrigento. Relatori della serata saranno mons. Michele Seccia e l’avvocato Elio Perrone, presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani di Lecce.

Il giudice Livatino, noto anche come giudice ragazzino per la giovanissima età in cui aveva intrapreso la sua carriera, è stato ucciso il 21 settembre 1990, a soli 36 anni, in un agguato mafioso da cui ha provato in extremis a salvarsi uscendo dalla macchina e inoltrandosi nella campagna che costeggiava la strada che percorreva ogni mattina per recarsi al lavoro.

Motivo della sua morte furono le indagini contro le cosche mafiose, come sarà poi appurato anche dalla sentenza di condanna di esecutori materiali e mandanti. Un uomo integerrimo e ricco di fede, una fede che lo portava ad avere fra le sue stelle polari la coscienza, l’umanità e la rettitudine. Lui stesso scriveva: “L’indipendenza del giudice, non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrifizio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella sua indisponibilità ad iniziative e ad affari, tuttoché consentiti ma rischiosi, nella rinunzia ad ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori che, per loro natura o per le implicazioni che comportano, possono produrre il germe della contaminazione ed il pericolo della interferenza; l’indipendenza del giudice è infine nella sua credibilità, che riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni ed in ogni momento della sua attività.”

Altra dote del giudice Livatino era il rispetto per i morti, quindi per la vita umana, anche quando la vittima era un noto criminale. In un’occasione non esitò infatti a richiamare un ufficiale di polizia che si dimostrava compiaciuto davanti al corpo di un boss: “Di fronte alla morte chi ha fede prega, chi non ce l’ha resta in silenzio.”

Presenze costanti sulla sua scrivania erano la bibbia e il crocefisso, talmente importanti per lui che, fra i documenti acquisiti per la causa di beatificazione, è stato preso in considerazione anche un tema scritto durante il liceo: “La bibbia è lo scrigno dove è racchiuso il gioiello più prezioso che esista: la Parola di Dio. Un gioiello che non si consuma mai è che non è un futile ornamento, ma un meraviglioso e saggio maestro di vita spirituale e materiale, che in esso si fondono ad indicare all’uomo una via piena di luce a cui si giunge attraverso tante strade secondarie, tanti viottoli nascosti segreti. Leggendola e comprendendola l’uomo ne riceve i migliori consigli perché la sua vita spirituale si svolga serena e senza compromessi e chi ha spirito pacato affronta la vita con coraggio e una abnegazione tali che ogni ostacolo viene eliminato.”

Sembra quindi doveroso che la società civile continui a impegnarsi per far conoscere alla nuove generazioni la figura di un uomo in cui fede, rettitudine e giustizia riuscirono sempre a camminare fianco a fianco.

 

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