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La relazione del Vangelo con la cultura è di tipo generativo. Ma come ogni rapporto generativo, il Vangelo crea cultura e la cultura arricchisce la comprensione del Vangelo. Come d’altronde accade nella generazione umana: è il padre a generare il figlio, ma è il figlio a rendere un uomo padre.

Tra Vangelo e cultura c’è un circolo ermeneutico vitale, cioè sapienziale, non solo intellettuale. Questo ci permette di comprendere il valore del Vangelo per la cultura e il valore della cultura per il Vangelo. I due si reggono insieme o cadono insieme, nessuno dei due può stare senza l’altro (simul stant et simul cadunt). E proprio la logica dell’Incarnazione, che è il cuore della rivelazione cristiana. Dunque la generatività del Vangelo mentre crea l’uomo nuovo di cui parla San Paolo, genera cultura nuova. Un nuovo modo di fare cultura, potremmo dire propriamente cristiano.

Per spiegare l’apporto specifico del cristianesimo alla cultura in ogni tempo e luogo, parto da una domanda. Chi e il soggetto della cultura? Gli intellettuali? No, il popolo.

Se la cultura è generata dal Vangelo, deve necessariamente portare in sè il Dna del Vangelo, cioè il carattere popolare dell’annuncio cristiano, sia nel senso che la salvezza non è solo per alcuni ma per il popolo, sia nel senso che il popolo diventa depositario di questa salvezza. Riflettiamo su un dato che ritorna frequentemente nel magistero di Francesco e che è una nota essenziale dell’ecclesiologia conciliare. Francesco insegna che soggetto della vita cristiana, della fede, sulla scorta del Concilio, è il popolo di Dio che ne custodisce integralmente e infallibilmente il deposito (sensus fidei). Il popolo di Dio custodisce la fede attraverso il suo sensus fidei. Si può fare un discorso analogo per la cultura, visto che il Vangelo è generatore di cultura? Si può dire che come il soggetto della fede è il popolo di Dio, anche per la cultura soggetto è il popolo? Penso proprio di si, e penso che questo sia il dato essenziale, il contributo fondamentale che la fede, il Vangelo danno alla storia della cultura.

La cultura non è faccenda di un’elite, di un circolo di illuminati.

 

Il cristianesimo da sempre ha rigettato una visione gnostica della religione, perchè nell’AT prima e nel NT dopo, destinatario della salvezza è il popolo di Dio e attraverso di lui lo sono tutti i popoli. La salvezza è data al popolo, contro ogni visione individualistica, per cui il popolo ne diviene custode, depositario. Certo, parliamo di popolo di Dio, che non è semplicemente “popolo”, ma “popolo di Dio”, e tuttavia la rivelazione ci dice che tutti i popoli sono chiamati ad entrare nell’unico popolo di Dio, a costituire l’unica Chiesa, sacramento di unità e salvezza per tutti i popoli. Ecco allora che al sensus fidei del popolo di Dio fa laicamente eco il sensus culturae di cui è custode e trasmettitore il popolo. La vera cultura perciò, come la fede, si sottrae ad una sua visione gnostica.

Prima di generare una cultura, il Vangelo genera la cultura, quella che chiamiamo cultura cristiana, che non è una cultura particolare, no, è una cultura universale, un modo cristiano, meglio cattolico, e dunque universale, di fare cultura.

La fede dà all’uomo, essere culturale, un’attitudine cristiana di fare cultura che permette di approfondire, conservare e trasmettere in modo vivo e vitale le radici popolari della cultura. Questo è il primo e fondamentale contributo della fede alla cultura umana. La cultura è tale se esce dai circoli degli illuminati, dalle accademie e si lascia permeare dallo spirito del popolo. Quindi la cultura è fatta dal popolo e plasma l’anima del popolo. Il senso popolare della cultura è la prima grande acquisizione che alla cultura di tutti i tempi, e anche alla cultura contemporanea, viene dal Vangelo. La cultura degenera in ideologia quando perde il suo carattere popolare. E questo perchè la cultura è come la religione e la religione è come Dio. Il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, il Dio di Gesù Cristo non è il Dio delle accademie, dei filosofi. La cultura quindi non è solo quella delle università, degli intellettuali, dei convegni, dei libri. Questa è solo una parte, e direi una piccola parte, della vera cultura, quella più importante e più ampia è la cultura del popolo.

L’anima popolare della cultura sta alla cultura colta dei libri, della parola scritta come la Tradizione apostolica sta alla Sacra Scrittura, nel senso che la Bibbia non la potremmo leggere e interpretare adeguatamente, secondo il senso divino che contiene, se non ci fosse una Tradizione apostolica che precedesse, accompagnasse e trasmettesse la Sacra Scrittura, svelandone il senso pieno.

La parola orale, la rivelazione e la sua trasmissione orale sono molto più ampie della parola scritta. Analogamente, la parola scritta della cultura, quella che si incarna nelle opere della cultura, è una piccola parte rispetto alla cultura del popolo, al sensus culturae di cui è depositario il popolo. Non dico nulla di nuovo se richiamo la radice comune dei termini cultura e culto dal verbo latino colĕre, coltivare, che è anche un’immagine biblica per indicare la vita cristiana (cfr. 1Cor 3, 6-7: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicchè, nè chi pianta nè chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere”; oppure le tante similitudini agresti che Gesù utilizza nelle parabole, in primis la parabola del seminatore). Quello che fa il Vangelo nel cuore dell’uomo è la stessa cosa che fa la cultura nello spirito umano: coltiva l’umano nell’uomo. Con la differenza che la cultura fa dell’uomo l’artefice della propria e altrui coltivazione (educazione), mentre il Vangelo mette a capo di quest’opera umana il Logos divino, il Verbo, la Parola/Persona che diventa carne, storia, vita. Qui viene il discorso che Francesco fa alla Chiesa di oggi, al Popolo di Dio di questo nostro tempo, mettendolo in guardia da due tentazioni che sono errori che serpeggiano nella vita ecclesiale e sociale: il pelagianesimo e il neognosticismo, che laicamente potremmo interpretare, in quanto errori contro la fede, come due forme di corruzione della cultura.

Una visione pelagiana e gnostica riduce la cultura a produzione culturale, industria culturale, business, ai suoi manufatti (sono le opere che salvano, dice il pelagiano; e la conoscenza intellettuale, e quindi di un gruppo ristretto, che salva, dice lo gnostico).

Così si perde di vista lo spirito del popolo che è il vero spirito della cultura, quello depositato nel cuore e nella memoria degli anziani che, trasmesso, recepito e innovato, crea la solidarietà tra le generazioni. Quando si perde il contatto con il popolo, la cultura perde la sua anima e si corrompe. In realtà, non sono le elite intellettuali, politiche, finanziarie che salvano il popolo e la sua cultura, è il popolo che salva la cultura, la politica, la finanza e l’economia dalle derive.

(*) direttore del Servizio per il Progetto culturale e direttore dell’Istituto Superiore Scienze Religiose “Mons. A. Pecci”- Matera

 

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