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Aspettavo mio figlio all’uscita di scuola, un gruppo di genitori consumava l’attesa discorrendo del fatto del giorno: le dimissioni del Sindaco Salvemini, dopo appena 18 mesi dal suo insediamento.

Ad un certo punto della conversazione ascolto quattro parole che riecheggiano un’espressione abbastanza diffusa nel gergo quotidiano delle persone normali e che nella loro plasticità sintetizzano il significato autentico della sia pur breve azione amministrativa di Carlo Salvemini: “ha tirato la riga”. Tirare la riga vuol dire solitamente mettere fine ad un modo di fare o di essere considerato dal senso comune non più tollerabile. E in cosa Salvemini rappresenta un punto di non ritorno? Nel suo modo di concepire ed esercitare l’amministrazione della cosa pubblica e nel suo modo di pensare e vivere la politica.

Dopo Salvemini, il linguaggio di verità porta a riconoscere, innanzitutto, che l’amministrare la città, finalmente, torna ad essere un atto di “giustizia” verso tutti i cittadini e non più solo verso i propri amici, il proprio club, il proprio accampamento. La gestione della vicenda Lupiae  è, da questo punto di vista, emblematica: il luogo per eccellenza nel quale la logica “amicale e proprietaria” del potere ha prodotto i suoi effetti più deleteri, è diventato il luogo della trasparenza e dell’interesse pubblico. Il  coraggioso progetto di risanamento dei conti, che ha evitato il baratro del dissesto finanziario del Comune, ha rivelato - poi - un rispetto delle Istituzioni di cui si avverte spesso la mancanza.

Dopo Salvemini, inoltre, dire e fare politica significheranno due cose semplici ma terribilmente difficili: innanzitutto assumere  la dimensione del servizio quale orizzonte del proprio impegno; fare non del senso comune - foriero spesso di ingiustificate paure e incline, di fronte alle difficoltà, a costruirsi un capro espiatorio ed un nemico -  ma del buon senso il proprio principio guida anche al costo di decisioni “impopolari”; ricucire il senso di comunità, oggi così fortemente sfilacciato e riannodare intorno ad esso i fili di una progettualità innovativa e coraggiosa, di una “visione” della città in grado di offrire futuro alle nuove generazioni. In secondo luogo, respingere le sirene che in nome del realismo politico condannano la politica alla mediocrità e al trasformismo.

Per tutte queste ragioni, Salvemini è diventato un simbolo. Un simbolo che la comunità non può permettersi di perdere.

 

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